lunedì 25 marzo 2013

I nostri tecnici.

Noi in Italia abbiamo una cosa fantastica : I tecnici.
Abbiamo mandato a casa  Berlusconi & C per manifesta incompetenza. Abbiamo detto che al loro posto mettevamo gente con alto profilo di competenza : Mario Monti e i suoi tecnici. 
I tecnici dovrebbero avere la competenza necessaria che deriva dal loro nome : TECNICI!!!
Così, nel novembre 2011, i tecnici hanno cominciato la loro opera tutta basata su esperienza e competenza che i nani e le ballerine di Berlusconi non avevano.
Dopo la Fornero che ha dimostrato di avere dei problemi non in matematica ma in aritmetica, il punto più basso penso sia stato toccato da Giulio terzi Di Sant'Agata, ministro degli esteri del governo Monti, che ha provocato la catastrofe indiana. 
Prima si è rifiutato di consegnare i marò mangiandosi la parola data in nome dello Stato Italiano, poi si è rimangiato tutto e ha rimandato in India marò; tutte le decisioni sono state prese da Terzi senza spiegazioni a nessun organo competente, senza avvertire l'intelligence, e lasciando l’ambasciatore in India in ostaggio.
Quello che ha fatto Giulio Terzi di Sant'Agata poteva farlo anche Nicole Minetti senza nessun problema. Ma Nicole Minetti fa l'igenista dentale, invece Terzi di Sant’Agata è un diplomatico di carriera con un palmares quasi spaventoso :
Riporto da Wikipedia :

Durante i primi anni al Ministero degli Affari Esteri è stato responsabile al Cerimoniale della Repubblica e per le visite ufficiali delle delegazioni del Governo Italiano all'estero. Nel 1975 gli è stato affidato l'incarico di primo segretario per gli affari politici all'Ambasciata italiana a Parigi. Dopo l'incarico nel 1978 a fianco del Segretario Generale della Farnesina, ha ricoperto il ruolo di Consigliere Economico e Commerciale in Canada per quasi cinque anni, un periodo di grande crescita economica e di cooperazione tra Italia e Canada, soprattutto per quanto concerne il settore delle nuove tecnologie.
È stato console generale a Vancouver durante l'Expo ‘86, periodo nel quale ha promosso importanti eventi per il commercio e la cultura italiana. Nel 1987 è tornato a Roma per prestare servizio, prima presso la Direzione generale degli affari economici, dove si è occupato soprattutto di nuove tecnologie, e in seguito alla Direzione generale del personale. Il suo successivo incarico all'estero è stato a Bruxelles, dove ha ricoperto la carica di Consigliere Politico presso la Rappresentanza d'Italia presso la NATO, in un periodo particolarmente impegnativo, segnato dalla fine della guerra fredda, dalla riunificazione della Germania e dalla prima guerra del Golfo.
Dal 1993 al 1998 è a New York presso la Rappresentanza d'Italia alle Nazioni Unite, dapprima come primo consigliere per gli affari politici e successivamente come ministro e vice rappresentante permanente, sotto la guida dell'ambasciatore Francesco Paolo Fulci. Durante questo periodo – segnato dalla guerra in Bosnia, dalla tragedia somala, dagli scontri nella regione dei Grandi Laghi e da altri conflitti africani – l'Italia è stata membro non permanente del Consiglio di sicurezza. Verso la metà degli anni novanta, la globalizzazione e le nuove sfide alla sicurezza internazionale hanno evidenziato la necessità di importanti riforme degli organi delle Nazioni Unite, temi nella cui trattazione l'Italia ha sempre avuto un ruolo di primo piano.
Ha anche prestato servizio presso il Ministero degli Esteri a Roma come vicesegretario generale, direttore generale per la cooperazione politica multilaterale e diritti umani e direttore politico, occupandosi principalmente di sicurezza internazionale e di questioni politiche, con particolare riferimento all'attività del Consiglio di sicurezza, dell'Assemblea generale e del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, oltre che a quella di organi quali il Consiglio Europeo, la NATO, il G8 e l'OSCE.
Ha assistito il Ministro degli esteri sui temi della sicurezza internazionale, in particolare relativamente ad aree geografiche quali i Balcani occidentali, il Medio Oriente, l'Afghanistan, l'Africa Orientale ed a tematiche come la proliferazione nucleare, il terrorismo e i diritti umani. Tra gli incarichi degli anni scorsi di particolare rilievo all'estero, vi è stato quello di Ambasciatore d'Italia in Israele tra il 2002 e il 2004, un periodo caratterizzato dallo scoppio della Seconda intifada, dal rafforzamento delle relazioni tra Unione europea e Israele durante la Presidenza Italiana dell'UE (luglio-dicembre 2003) e da un rinnovato impegno da parte delle autorità israeliane e palestinesi a sostegno della Road Map.
Dal 20 agosto 2008 al 30 settembre 2009, l'ambasciatore Terzi è stato rappresentante permanente d'Italia alle Nazioni Unite a New York, dove ha guidato la delegazione italiana al Consiglio di Sicurezza durante l'ultimo periodo del biennio italiano come membro non permanente (2007-2008), concentrandosi in particolare su Afghanistan, questioni umanitarie e protezione dei civili nei conflitti.
Dall'8 ottobre 2009 al 16 novembre 2011 è stato Ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti d'America.

Ministro degli affari esteri [modifica]


Giuramento come ministro degli affari esteri delgoverno Monti (17 novembre 2011).
Il 16 novembre 2011 è nominato ministro degli affari esteri del governo Monti. A differenza degli altri ministri, ha potuto prestare giuramento soltanto il giorno successivo, perché si trovava a Washington.
Uno con un palmares del genere i diplomatici indiani doveva mangiarli vivi. 
Il sottosegretario agli esteri è uno svedese cittadino italiano che assomiglia a Michel Serrault interprete del Vizietto : Staffan DeMistura. Riportiamo un altro palmares spaventoso quasi come quello di Terzi.
Riporto sempre da Wikipedia :
Dopo una carriera di 36 anni in varie agenzie dell'ONU,[2] il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon lo ha nominato Rappresentante Speciale (SRSG) per l'Iraq l'11 settembre 2007.[3] È stato il successore del Rappresentante Speciale Ashraf Qaziassumendone le responsabilità nell'area di missione il 5 novembre e a Baghdad l'11 novembre 2007. Nel luglio del 2009 de Mistura è divenuto vice direttore esecutivo per le Relazioni Esterne del Programma Alimentare Mondiale a Roma.[4] A marzo 2010 de Mistura è stato designato Rappresentante Speciale in Afghanistan.
Le precedenti cariche di De Mistura presso l'ONU includono quella di vice Rappresentante Speciale in Iraq e direttore del centro informazioni ONU a Roma. Il suo lavoro lo ha portato in molti dei luoghi più problematici ed instabili del mondo tra cui Afghanistan,IraqLibanoRwandaSomaliaSudan ed ex Jugoslavia.[5]
Il 3 marzo 2000 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi della cittadinanza onoraria italiana.[senza fonte]
Il 28 novembre 2011 è nominato Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri del Governo Monti[6].
Questi due supertecnici diplomatici di lungo corso hanno combinato cose che al loro posto un bambino di sei anni non avrebbe fatto.

Poi ci dicono che quelli del Movimento 5 Stelle sono incompetenti. Allora questi due cosa sono? 

Monti l’aveva scelto Terzi come tecnico. Ma si era dimenticato che Terzi era un tecnico di Bunga Bunga in grado si dare lezioni anche a Berlusconi.
Mentre si trovava a New York aveva lasciato la moglie per una amante molto più giovane. Il buon Terzi  organizzava i ricevimenti ufficiali in ambasciata con l'amante invece che con la moglie. Già da allora faceva fare belle figure alla nazione che gli pagava stipendi d'oro.

Terzi e DeMistura, dall'alto della loro arroganza e prepotenza e a dispetto della loro incompetenza hanno dimostrato di non avere i requisiti per ricoprire il loro ruolo. 
Ora la loro incompetenza totale si è scontrata con una vicenda più grande di loro : quella dei marò. 
Qui non sono stati aiutati da nessuno, dovevano tirare fuori i coglioni che non hanno e hanno combinato il danno. 

Due persone lasciate al loro destino e un ambasciatore lasciato in ostaggio a un'altra nazione senza preavviso. La nostra nazione ridicolizzata nei confronti del mondo intero. 
Questi erano i primi due tecnici, ma anche gli altri non scherzano. 
Mario Monti e il ministro Grilli hanno promesso di sbloccare 20 miliardi nella seconda metà del 2013 e ulteriori 20 miliardi nel corso del 2014. 
Prima stroncano la nazione con tasse allucinanti facendo retrocedere il PIL di 2,4 punti, affondano l'immobiliare, fanno chiudere le aziende e dichiarano che non hanno 260 milioni di euro per gli esodati della Fornero rimandata in aritmetica.

Adesso tirano fuori 40 miliardi e ne devono dare 50 al fiscal compact ratificato da Tecnici, PD e PDL tutti insieme appassionatamente.

Il pidocchio Mario Monti che negava soldi anche agli ammalati e ai disabili adesso libera 90 miliardi ? Sempre il pidocchio Europeista filo-Merkel Mario Monti dava del cialtrone a Berlusconi che prometteva 4 miliardi di rimborso IMU. Secondo il pidocchio era impossibile. E ora ritiene possibile sganciare 90 miliardi. 
E dove li trova? Fa la cosa in cui Monti è insuperabile : Aumenta il debito pubblico. Monti è andato in Europa a farsi autorizzare il debito. Ma visto che è così credibile perché non l'ha fatto prima ? 

Che lettura diamo di questo fallimento? 


Questo paese non è in grado di esprimere persone in grado di governare. Questa classe dirigente ha fallito ma non se ne vuole andare. 

Monti e i tecnici passavano  per il meglio che avevamo.
Basta, se ne devono andare tutti!!!
Voglio al governo dei dilettanti armati di amor di patria e buon senso, ma soprattutto onesti.
Quando dobbiamo eliminare una classe dirigente ci dobbiamo ricordare la frase di Henry Ford : "non abbiamo bisogno di brave persone ma di persone brave"

domenica 24 marzo 2013

Attenti al PD. Non votatelo!!!!!!!!!


L'Unione Europea, approvando il salvataggio delle banche cipriote, aveva preteso un prelievo forzoso (rapina) sui conti correnti dei cittadini di Cipro.
Come noto, il prelievo sarebbe dovuto essere del 6.75% sulle somme inferiori ai 100 mila euro, e di quasi il 10% su quelle superiori a tale giacenza. Secondo le notizie che si apprendono, in quella sede, il FMI avrebbe chiesto addirittura una tassa del 40%, ma con franchigie più elevate.
Tali misure sarebbero dovute essere approvare dal Parlamento cipriota, ma la libertà ha prevalso sull'oligarchia dei banchieri e sulla tirannia europeista. Il Parlamento cipriota ha respinto al mittente la proposta della tassa rapina, riaffermando la sovranità del popolo che, troppo spesso, in questa Europa, sembra sfuggire ai suoi gerarchi. Cipro ha  avuto il coraggio di dissentire, e ha deciso che il suo popolo non debba essere vittima di un esproprio di quel genere per pagare il conto alle Banche tedesche esposte su quelle cipriote, guarda caso, per lo stesso importo del  gettito preventivato di 5, 8 miliardi di euro. In un quadro del genere, in attesa di capire come evolverà la situazione cipriota, cerchiamo di comprendere cosa potrebbe accadere in Italia se dovessero esse introdotte misure di contrasto all'utilizzo del denaro contante.
Ciò che sta accadendo a Cipro ci insegna una cosa molto semplice, ossia che il tabù dell'inviolabilità e del rispetto dei risparmi e dei sacrifici di una vita, almeno nel contesto dell'Europa meridionale, è stato violato, è stato abbattuto, definitivamente. A nulla possono valere eventuali rassicurazioni, smentite, o peggio, passi indietro. Le autorità europee si sono dimostrate del tutto inaffidabili. L'insegnamento che ci deriva dal caso Cipro, è che chi ha dei risparmi depositati presso qualsiasi banca dei Paesi in difficoltà, potrebbe rischiare di perderli, almeno in parte. Sarebbe perfino ingenuo pensare che l'esproprio potrebbe riguardare solo i conti correnti, poiché ogni genere di attività potrebbe essere colpita, più o meno pesantemente, anche se con differenti livelli di difficoltà. Difficoltà certamente ovviabili, se si intende ottenere un determinato risultato, che poi sarebbe quello di rendere solvibili banche e Stati.
La linea di demarcazione tra debito e credito, di colpo, sembra essere divenuta più sottile, pallida, quasi inesistente. È chiaro che al debito di un soggetto, corrisponde il credito di un'altro di un altro soggetto. E per rendere solvibile il debitore, non c'è nulla di più agevole che compensare posizioni a debito con quelle a credito. Ed il gioco è fatto: il debitore è stato reso solvibile e il creditore è stato espropriato. Bella l'economia di mercato, vero? Peccato che questo valga solo per le banche e per gli Stati; non per i cittadini comuni che poi sarebbero quelli a cui l'esproprio è rivolto.
Nel contesto Italiano esiste una vulgata popolare, capeggiata da Bersani, secondo la quale, in nome della lotta all'evasione fiscale, si dovrebbe abbassare la soglia all'utilizzo del denaro contante, oppure eliminarlo del tutto.
Questo, è addirittura riproposto in uno degli otto punti che dovrebbero essere quelli ispiratori l'azione del prossimo governo a guida Bersani (?). Tant'è che tra i provvedimenti da adottare, si legge: “Misure per la tracciabilità e la fedeltà fiscale". Tradotto significa: abbassamento della soglia di utilizzo del denaro contante (o completa eliminazione). Già in diversi articoli abbiamo trattato l'argomento e qui ci limitiamo solo ad esporre alcune considerazioni. Bersani pretende che il denaro contante sia depositato in banca. Ciò significa che chi ha uno stipendio, ad esempio, dovrà riceverlo obbligatoriamente in banca. Così come ogni sostanza contante, di cui si dispone, dovrà essere depositata in banca, e da lì spesa attraverso la moneta elettronica.
Di colpo, grazie ad un atto normativo, il cittadino verrebbe privato, oltre che di questa forma di libertà, anche dell'unica forma di dissenso a sua disposizione nei confronti del sistema bancario. Per contro, le banche verrebbero graziate in quello che per loro costituisce il vero e proprio incubo: la corsa agli sportelli. A quel punto, essendo il denaro smaterializzato e sostituito con un algoritmo astratto e intangibile, ne deriva che se non esiste moneta contante da scambiare e da prelevare, viene meno anche il pericolo che la popolazione possa chiedere la restituzione di ciò che non esiste. È evidente, e le banche festeggiano.
Il sistema bancario deterrebbe in deposito la maggior parte della ricchezza del paese. Deterrebbe in custodia i vostri investimenti in titoli, azioni, obbligazioni, i preziosi custoditi in cassette di sicurezza, e ora anche il denaro che, obbligatoriamente, deve essere depositato sul conto corrente. Siccome le pretese impositive dello Stato si fondano su imponibili di cui lo Stato stesso ne dovrebbe conoscere le dimensioni e la collocazione, se ne deriva che lo Stato non potrebbe tassare ciò che non conosce, come ad esempio il denaro contante che voi custodite a casa, almeno fino a questo momento. Il pericolo è proprio quello di essere obbligati, tramite un provvedimento di legge, a privarsi dell'utilizzo del contante, per rendere la macchina coercitiva del fisco ancora più efficiente, funzionale, perfetta e micidiale.
Tra poche settimane, le banche italiane dovranno trasmettere all'anagrafe tributaria tutte le movimentazioni dei nostri conti correnti. Lo stato, con un semplice click, potrà conoscere in tempo reale ogni vostra ricchezza: sia la sua collocazione, che la sua dimensione complessiva. Ricchezza incrementata, ovviamente, dai depositi di denaro contante che, oltre a far aumentare la base imponibile da colpire con un'eventuale imposizione patrimoniale, offre allo Stato la garanzia del buon esito della sua pretesa tributaria.
Quindi, in questo caso, avrebbe a sua completa disposizione ogni forma di ricchezza, e potrebbe tassare, confiscare ed espropriare, ogni importo a suo piacimento, desiderio e necessità, sia per salvare chi tale ricchezza la detiene in deposito (le banche), sia per salvare se stesso e i privilegi del manipolo di gerarchi da un eventuale bancarotta.
Anzi, questo pericolo è quantomai reale e percepibile al punto che lo stesso Bersani non nasconde affatto il desiderio di applicare un'imposta patrimoniale.
Volete un esempio su cosa potrebbe fare lo stato con il vostro patrimonio? Bene, basta prendere ad esempio Cipro. La cosa più semplice da fare è proprio quella di aggredire il deposito sui conti correnti. Sono sostanze disponibili e quindi per definizione idonee ad essere immediatamente trasferite, dal conto corrente alle casse dello stato. E poi se lo Stato è fortunato e a voi vi dice male, sul conto corrente potrebbe anche trovare un saldo particolarmente elevato derivante dal mutuo che la vostra banca, magari, vi ha accreditato qualche giorno prima per comprare la vostra casa o finanziare la vostra attività. Quindi un “extragettito" per lo Stato, una maggiore rapina per voi, su dei patrimoni a debito che dovrete rimborsare alla banca.
La cosa vi sorprende? Nel 1992, con la patrimoniale di Amato, è accaduto proprio questo. Aziende e famiglie di sono viste confiscare ricchezza su delle somme derivanti da un finanziamento concesso dalla banca e temporaneamente depositato sul conto corrente bancario. Vi sembra giusto?
Volete un'altro esempio? Eccovi serviti. Bersani, ad esempio, come dicevamo, non nasconde affatto l'idea che sarebbe favorevole ad un'imposta patrimoniale sui grandi patrimoni, intendendo per tali, quelli oltre 1.5 milioni di euro. A parte il fatto che egli non fornisce chiarimenti su cosa debba intendersi per patrimonio, ossia se si dovranno considerare beni immobili, mobili, investimenti, aziende ecc., come già dicevamo in un precedente articolo, il sospetto è che, quando si accorgeranno che il gettito derivante da un'imposizione patrimoniale a quei livelli sarà molto ridotto, probabilmente, abbasseranno di molto il livello di patrimonio dal quale far scattare l'imposizione al fine di aumentare la base imponibile.
Solo per citare un esempio, qualora dovesse essere tassato il patrimonio immobiliare,non è detto che il contribuente abbia disponibili gli importi per adempiere all'obbligazione tributaria. Ecco quindi che il fisco potrebbe aggredire il conto corrente dove si detengono, per obbligo normativo, anche le risorse indispensabili per il sostentamento dei propri congiunti, lasciando a pancia vuota tutta la famiglia. Ma la carrellata di casi e gli aspetti inquietanti di una simile coercizione della libertà individuale è ancora lunga, fitta ,se non interminabile. Si potrebbe andare avanti per ore, ma non cambierebbe affatto il risultato.
La banca, concludendo, diverrebbe una gigantesca camera di compensazione, ossia soggetto giuridico al servizio (più di quanto lo sia oggi) dello Stato per espropriare ricchezza: ossia il presente e il futuro di liberi ed onesti cittadini.
"Quando uno Stato dipende per il denaro dai banchieri, sono questi stessi e non i capi dello Stato che dirigono le cose. La mano che dà sta sopra a quella che prende. I finanzieri sono senza patriottismo e senza decoro". Napoleone Bonaparte

Autore: Paolo Cardenà / Fonte: vincitorievinti.com - via ecplanet.com

giovedì 14 marzo 2013

La malattia americana : il declino di un Impero


La «malattia» americana: il declino di un Impero

di Noam Chomsky

Noam Chomsky è Institute Professor Emeritus al MIT Department of Linguistics and Philosophy. Autore di numerosi successi editoriali nel campo della politica, fra i quali Hopes and Prospects e Making the Future.

Quanto segue è tratto dal libro Power Systems, pubblicato questo mese dalla Metropolitan Books, per i tipi della Henry Holt and Company, LLC. Copyright (c) 2013 di Noam Chomsky e David Barsamian.

Introduzione di TomDispatch

Ammettiamo pure che le Primavere Arabe e quanto ha fatto loro seguito nel Medio Oriente siano il frutto di numerosi contributi; ma come dimenticare l’«unilateralismo» americano? Se volete vedere all’opera la destabilizzazione, non c’è nulla che la incarni quanto un gruppo pesantemente armato che invoca Imperi Globali, dietro la porta di casa vostra. 

Se le Primavere Arabe – dalla Tunisia all’Egitto, dalla Siria alla Libia – hanno rappresentato una serie di rivolte popolari, sono anche delle disfatte. Con due decenni di ritardo, il sistema di controllo delle grandi potenze creato dalla Guerra Fredda, che vedeva nel Medio Oriente un’America dominante ed una Russia in secondo piano, si è finalmente disintegrato. Quel mattatoio che è attualmente la Siria può essere determinato anche dal contributo della Russia al caos mediorientale. L’Egitto invece, con il suo presidente fondamentalista accerchiato, i tifosi del calcio irati per le strade di città confinanti con il Canale di Suez, ed il capo dell’esercito che parla di un possibile crollo dello Stato, deve essere invece considerato come il contributo, ben maggiore e devastante, dato dall’America (insieme ad Israele, l’Egitto era uno dei 3 pilastri del sistema USA nell’area; il terzo, tutt’ora in piedi nella sua gloria fondamentalista e con le sue vaste riserve di petrolio, è l’Arabia Saudita).

Ad ogni modo, quando si assiste agli accadimenti dei giorni nostri, bisogna prima di tutto ringraziare l’unilateralismo americano degli anni ’90, la nostra jihad finanziaria, che fantasticava l’asservimento del pianeta alla potenza finanziaria americana (fantasia terminata malamente, nel 2008). Un decennio dopo arrivava George W. Bush col suo seguito di neocon, che sognavano esattamente la stessa cosa, ma in termini militari. Raccolsero risultati ugualmente disastrosi. Ma se i neoliberal diedero una mano a creare un 1% di quell’oppressione presente in Medio Oriente che ha portato un giovane tunisino a darsi fuoco, i militari visionari di Bush – con l’invasione e l’occupazione dell’Iraq – hanno fatto danni ben peggiori, aprendo una voragine direttamente nel cuore della più importante area petrolifera del pianeta, appiccando il fuoco a quello che amavano chiamare «the arc of instability» – del quale capivano oltretutto ben poco. Poi, nel 2004, ci hanno fatto attraversare quelle le «porte dell’inferno» (per dirla con le parole di Amr Moussa, capo della Lega Araba), pensando fossero invece le porte per un «paradiso imperiale».

Ora Washington, dal Pakistan allo Yemen, dal Mali al Niger, con i droni ed i corpi per le operazioni speciali ed i suoi cyber guerrieri, sta proseguendo ciecamente il processo di destabilizzazione, pur correndo il rischio di minare lo stesso potere americano nell’area. Nell’estratto che segue, tratto dal libro di Noam Chomsky Power Systems, i temi trattai sono: il mondo del dopo-Primavere Arabe e l’assetto del potere USA.

La paranoia dei super-ricchi e super-potenti
Noam Chomsky

[Quanto segue è un adattamento del capitolo «Insurrezioni,» tratto dal libro-intervista rilasciata da Noanm Chomsky a David Barsamian, dal titolo Power Systems: Conversations on Global Democratic Uprisings and the New Challenges to U.S. Empire . Le domande sono di Barsamian, le risposte di Chomsky.]

Barsamian: Gli Stati Uniti hanno oggi il medesimo grado di controllo sulle risorse energetiche mediorientali che avevano una volta?

Chomsky: Le principali nazioni produttrici di petrolio sono tuttora sotto il controllo di dittature sostenute dall’Occidente. I risultati ottenuti dalle Primavere Arabe sono quindi, allo stato attuale, limitati. Ma non insignificanti. Il sistema dittatoriale a sostegno occidentale si sta erodendo. E la cosa va avanti da un po’ di tempo. Se torniamo indietro di 50 anni, le risorse energetiche – la principale preoccupazione dei pianificatori USA – per la maggior parte erano state nazionalizzate. Ed i continui tentativi di ribaltare la cosa non hanno avuto successo.

Consideriamo, ad esempio, l’invasione USA dell’Iraq: a parte qualche ideologo fanatico, era per tutti chiaro che invadevano il Paese non certo per il nostro amore per la democrazia ma perché si tratta del 2° o 3° maggior produttore di petrolio al mondo, per di più proprio nel centro delle più importante area petrolifera al mondo. Ma non lo si dovrebbe dire. Se lo fai sei un cospirazionista.

In Iraq gli americani sono stati pesantemente sconfitti dal nazionalismo iracheno, soprattutto dalla sua resistenza non-violenta. Gli USA possono massacrare gli insorti, ma non possono sconfiggere mezzo milione di persone che scendono per le strade a protestare. Un passo alla volta, gli iracheni sono riusciti a smantellare il sistema di controllo messo in campo dagli occupanti. Alla volta del novembre 2007, era abbastanza chiaro che per l’America sarebbe stato quasi impossibile raggiungere i propri obiettivi. Cosa curiosa, a quel punto gli obbiettivi sono stati espressi chiaramente. Nel novembre 2007 infatti, l’amministrazione di Bush 2 se ne salta fuori con una dichiarazione ufficiale su come intendeva un futuro accordo con gli iracheni. Le due principali condizioni erano: 1) che gli Stati Uniti fossero liberi di condurre operazioni di combattimento al di fuori delle proprie basi militari; 2) che qualsiasi accordo incoraggiasse il flusso di investimenti verso l’Iraq, soprattutto da parte americana. Nel gennaio 2008, Bush lo chiarì in una delle sue dichiarazioni scritte. Un paio di mesi dopo, davanti alla resistenza irachena, gli Stati Uniti dovettero arrendersi. Il controllo americano sull’Iraq ci è svanito sotto il naso.

Il tentativo di reinstallare con la forza qualcosa simile al vecchio sistema di controllo è stato battuto e respinto. In generale, ritengo che la politica estera USA dalla Seconda Guerra Mondiale in poi non sia cambiata, ma sia cambiata la sua capacità di realizzarla. Che è in declino.

Barsamian: In declino a causa della debolezza economica?

In parte perché il mondo sta cambiando, stanno cambiando i centri del potere, ce ne sono di più. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’America era indiscutibilmente all’apice della propria potenza. Deteneva la metà della ricchezza mondiale, ognuno dei suoi concorrenti era o seriamente danneggiato o distrutto. Godeva di una posizione di sicurezza inimmaginabile e portava avanti dei piani volti fondamentalmente a governare il mondo. Piani che all’epoca non erano irrealistici.

Barsamian: Era quello che chiamavano «Grande Area»?

Esatto. Proprio dopo la Seconda Guerra Mondiale, George Kennan, capo della squadra di pianificazione politica del Dipartimento di Stato USA – ed altri – definì i dettagli che furono poi messi in pratica. Quello che si sta verificando ora nel Medio Oriente ed in Nord Africa, e per certi versi in Sud America, origina sostanzialmente negli anni ’40. La principale resistenza all’egemonia USA, coronata da successo, si verifica nel 1949.

In quell’anno avvieneun evento particolare che viene indicato come la perdita della Cina. Parole veramente molto interessanti, una frase che non sarà mai messa in dubbio, anzi, si farà un gran parlare – in politica interna – su chi ne fosse stato il responsabile. Divenne un tema molto famigliare per gli americani e, lo ripeto, si tratta di una frase molto interessante anche perché puoi perdere qualcosa solo se la possiedi. Dunque qualcuno riteneva scontato che noi si possedesse la Cina e che muovendo verso l’indipendenza, l’avessimo persa. Poi vennero le preoccupazioni per la perdita dell’America Latina, poi per la perdita del Medio Oriente, poi per la perdita di questo o quel Paese, sempre ripetendosi la premessa che noi si possedesse il mondo e che qualsiasi cosa fosse capace di indebolire il nostro controllo, fosse un perdita che dovevamo e dobbiamo prodigarci a recuperare.

Oggi, se leggete la stampa che si occupa di politica estera o seguite i dibattiti dei Repubblicani – per quanto siano una farsa – vedrete che ci si domanda: «Cosa dobbiamo fare per prevenire ulteriori perdite?».

È comunque un fatto che la nostra capacità di mantenere il controllo è decisamente calata. Nel 1970 il mondo, a livello di economia, era tripolare: un centro industriale nord-americano negli USA, un centro industriale europeo di base in Germania (e più o meno delle stesse dimensioni ), ed un centro industriale dell’Asia dell’est, di base in Giappone. Che fu poi l’area del mondo dalla crescita più dinamica.

L’assetto dell’economia mondiale è molto cambiato da allora. Portare avanti la nostra politica è diventato più difficile, ma incredibilmente le direttive sottostanti non sono cambiate più di tanto.

Pensiamo alla dottrina Clinton: gli Stati Uniti hanno il diritto di ricorrere unilateralmente alla forza al fine di inibire agli altri l’accesso a mercati chiave, a forniture di energia, a risorse strategiche. Si va ben oltre qualsiasi cosa detta da George W. Bush. Ma è stato detto tranquillamente, non in modo arrogante od offensivo, così non ha sollevato nessun polverone. È una dichiarazione che vale ancora oggi E fa parte della nostra cultura intellettuale.

Proprio dopo l’assassinio di Osama bin Laden, nel bel mezzo delle congratulazioni e degli applausi, ci furono alcune, poche, critiche sulla legalità dell’azione condotta. Centinaia di anni fa esisteva un qualcosa che solevano chiamare presunzione di innocenza. Una persona sospetta rimane tale fino a colpevolezza dimostrata. Dovrebbe avere un processo. È parte del nucleo fondante della legge in America. Risale fino ai tempi della Magna Carta. Così si alzarono un paio di voci a dire che non dovevamo buttare nel cesso intere fondamenta della legge anglo-sassone. Ne partirono reazioni rabbiose ed infuriate, le più interessanti delle quali erano, come al solito, quelle provenienti dall’ala liberal di sinistra dell’arco politico.

Matthew Yglesias, noto e rispettato commentatore della sinistra liberal, scrisse un articolo nel quale ridicolizzava le opinioni che mettevano in dubbio la legalità dell’operato. E ne chiarì il motivo: «Una delle principali funzioni dell’ordine istituzionale internazionale è proprio quella di legittimare l’uso da parte dell’Occidente della forza militare, anche per portare la morte». Naturalmente non si riferiva alla Norvegia, ma agli USA. Dunque, il sistema internazionale avrebbe come principio fondante che gli USA possono usare la forza a proprio piacimento... Dire che gli Stati Uniti stanno violando il diritto internazionale o cose simili, è da ridicoli, ingenui e completi imbecilli. Per la cronaca, Yglesias prendeva di mira proprio me, ed io sono felice di dichiararmi colpevole. Io credo veramente che il diritto internazionale e la Magna Carta meritino una certa attenzione…

Ho citato questo fatto per illustrare che nella cultura intellettuale, anche in quel settore indicato come liberal di sinistra, il nucleo dei principi non è cambiato tanto. È la capacità di metterli in pratica che è calata vistosamente ed è per questo che c’è tutto questo parlare del declino dell’America. Prendiamo in esame il numero di fine anno di Foreign Affairs, mezzo stampa fondamentale per l’apparato governativo. Nella copertina ci si domanda a grandi lettere ed in grassetto: «L’America è finita?». Questa è la solita lamentela di quelli che credono di dover avere tutto. Se tu credi che dovresti avere tutto, è una tragedia, qualsiasi cosa perdi. Ed il tuo mondo crolla. L’America è finita? Molto tempo fa abbiamo perso la Cina, poi abbiamo perso il Sudest asiatico, poi abbiamo perso l’America del sud. Forse perderemo il Medio Oriente e le nazioni nordafricane. L’America è finita? Questa è un tipo di paranoia, la paranoia dei super-ricchi e dei super-potenti: se non possiedi tutto, è una sciagura.

Barsamian: Il New York Times descrive il «dilemma politico nella Primavera Araba: far quadrare fra loro elementi che generano contrasto negli americani, quali il sostegno al cambiamento democratico, il desiderio di stabilità e la volontà di guerra di islamisti che sono diventati una potente forza politica». Dunque il Times indica 3 obbiettivi politici. Che ne pensi?

Due sono interessanti. Gli Stati Uniti sono a favore della stabilità, ma forse andrebbe ricordato che cosa intendano per stabilità: attenersi agli ordini USA. Dunque, per esempio, una delle grandi accuse mosse all’Iran – la grande minaccia in politica estera – è che l’Iran destabilizzi Iraq ed Afghanistan. Ma come? Cercando di espandere la propria influenza su nazioni limitrofe. D’altra parte, noi stabilizziamo le nazioni invadendole e distruggendole.

In alcune occasioni ho illustrato uno dei miei esempi preferiti a riguardo, esempio che proviene da un ben noto analista liberal di politica estera – James Chace – ex editore proprio di Foreign Affairs. Scrivendo della deposizione del regime di Salvador Allende e della imposizione della dittatura di Augusto Pinochet nel 1973, Chace disse che dovevamo destabilizzare il Cile nell’interesse della stabilità. La cosa non fu percepita come una contraddizione. Per aumentare la stabilità, dovevamo distruggere il sistema parlamentare esistente, le cose significano proprio questo. È in questa prospettiva tecnica che noi siamo favorevoli alla stabilità.

Le preoccupazioni relative all’islam politicizzato, non sono diverse dalle preoccupazioni per qualsiasi evoluzione che non dipenda da noi. Devi preoccuparti di qualsia che sfugge al tuo controllo perché potrebbe minacciarti. La cosa è un po’ ironica, perché tradizionalmente USA ed Inghilterra hanno sostenuto il fondamentalismo radicale islamico per lungo tempo e con forza – ma non l’islamismo politicizzato – considerandolo una forza utile per bloccare il nazionalismo secolarista, che rappresentava il vero il problema.

A questo riguardo, l’Arabia Saudita ad esempio, è lo Stato più fondamentalista al mondo, uno Stato islamico radicale. Ha un impegno missionario: diffondere l’islamismo radicale e finanzia il terrorismo nel Pakistan. Eppure rimane un’importante baluardo della politica USA ed UK ed è stata finanziata abbondantemente contro la minaccia del nazionalismo secolare di Gamal Abdel Nasser in Egitto e di Abd al-Karim Qasim in Iraq (fra gli altri). Ma gli USA non amano l’islam politico perché potrebbe diventare indipendente. 

Il primo dei 3 punti, il nostro desiderio struggente di democrazia, è sullo stesso piano di Peppe Stalin che parla dell’amore russo per la libertà, per la democrazia e le libertà del mondo intero. È quel tipo di dichiarazione che quando la senti dalla bocca di prelati od alti funzionari iraniani ti fa scoppiare a ridere, ma che ti fa annuire educatamente – provando forse anche un po’ di soggezione – quando viene pronunciata da una controparte occidentale.

Se presti attenzione agli effetti, questo desiderio struggente di democrazia è uno scherzo di cattivo gusto. La cosa è ammessa anche dai più quotati studiosi, anche se non lo dicono in questi termini. Uno dei principali studiosi della cosiddetta promozione della democrazia è Thomas Carothers, molto quotato e decisamente conservatore – più un neo-reaganiano che un acceso liberal.

Ha lavorato al Dipartimento di Stato al tempo di Reagan ed ha scritto parecchi testi sulla promozione della democrazia, argomento che prende molto sul serio. Lui sostiene che, in effetti, è un ideale radicato nel profondo degli americani, ma che porta con sé una storia divertente, legata al fatto che ogni amministrazione americana è schizofrenica a riguardo: ogni amministrazione appoggia la democrazia solo se è conforme ai suoi interessi strategici ed economici.

Carothers osserva che si tratta di una strana patologia, come se gli Stati Uniti avessero necessità di una cura psichiatrica o qualcosa simile. Naturalmente, c’è anche un’altra interpretazione, ma è una spiegazione che non ti viene in mente se sei un intellettuale ben-ammaestrato, intento a fare il tuo compitino.

Barsamian: Pochi mesi dopo il rovesciamento, l’ex Presidente egiziano Hosni Mubarak si è ritrovato a doversi difendere dall’accusa di aver commesso dei crimini. È ipotizzabile che i comandanti americani si ritrovino mai ad essere chiamati a render conto dei propri crimini in Iraq, come altrove? Succederà mai?

Fondamentalmente ricorre nuovamente il principio di Yglesias: le basi profonde dell’ordine internazionale risiedono nel fatto che gli Stati Uniti hanno il diritto di usare la forza a proprio piacimento. Stando così le cose, come possono essere accusati?

Barsamian: E nessun altro detiene questo diritto all’uso della forza…

Ovviamente nessuno. Beh, forse i nostri clienti. Se Israele invade il Libano, uccide migliaia di Libanesi e distrugge metà del Paese... beh, è tutto a posto. Riporto in aneddoto interessante a riguardo. Barack Obama, prima di diventare Presidente, era un senatore. Da senatore non ha fatto molto, ma ha fatto un paio di cose le ha fatte e di una di esse andava particolarmente orgoglioso. Infatti, dando un’occhiata al suo sito web prima delle primarie, avresti visto in bell’evidenza il fatto che – durante l’invasione israeliana del Libano nel 2006 – Obama era stato co-presentatore di una risoluzione del senato USA con la quale si chiedeva che gli Stati Uniti non facessero nulla per impedire le azioni militari di Israele, fino a che Israele non avesse conseguito i propri obbiettivi. Censurava anche Iran e Siria perché appoggiavano l’opposizione alla distruzione israeliana del Libano del sud – per la quinta volta in 25 anni, tra l’altro. Dunque è un diritto ereditabile. Ed anche altri clienti sono autorizzati.

Ma il titolare di questo diritto è Washington. Ecco cosa vuol dire essere proprietari del mondo. È come l’aria che respiriamo, non puoi metterla in discussione. È possibile considerarlo alla stregua di un intreccio religioso, difficilissimo da districare, perché in sostanza lo scopo dell’America è considerato trascendente: portare libertà e giustizia al resto del mondo. E come ha brillantemente scritto Hans Morgenthau – uno dei pochi scienziati della politica e specialista di affari internazionali che abbia mai criticato la Guerra nel Vietnam sul piano morale e non su quello tattico-politico – nel suo libro Lo scopo della politica americana:

«Criticare il nostro scopo trascendente è come cadere nell’errore dell’ateismo, che nega la validità della religione per motivi analoghi».
Inoltre, se qualcuno mette in discussione questa chiamata dell’America, scatena spesso una reazione isterica, tirandosi addosso l’accusa di anti-americanismo.

Concetti interessanti, che non esistono nelle società democratiche ma solo in quelle totalitarie; o qui da noi, perché fanno parte del nostro tessuto più profondo e fondante.