domenica 17 febbraio 2019

Una Valutazione Intelligente sulla TAV fatta dal mio amico Mitt Dolcino. Il resto sono solo balle.

Spiace sentire Borghi (Lega) difendere a tutti i costi la TAV nonostante il referenziato rapporto Ponti. E poi qualcuno spera ancora che l’Italia si salvi…

Ho apprezzato Borghi in diverse occasioni. Più per il suo approccio che per il suo tecnicismo economico, a dire la verità. Questa sera in un confronto su Rai2 (“Povera patria”, bel titolo) l’ho sentito difendere strenuamente la TAV. Onestamente mi è spiaciuto. Immagino che il Borghi debba difendere un ordine di scuderia della Lega, che vuole la TAV a tutti i costi (spero che questo non derivi dal voler difendere a tutti i costi il business dell’ex ministro Lunardi, la cui Rocksoil è uno dei principali contractor dell’opera della Valsusa).
La cosa che più mi sconcerta è che gli stessi argomenti accampati da Borghi questa sera siano più o meno gli stessi accampati oggi in un intervento su scenarieconomici.it, dove ho scritto per molti anni (purtroppo per Borghi, è stato letteralmente frantumato dal super esperto, professor Conti, che insegna a fare le valutazioni di cui alla TAV imparate alla Banca Mondiale, ossia usando IL METODO di prassi utilizzato in tutto il mondo per questo tipo di valutazioni, ndr). In breve, le motivazioni per cui si dovrebbe proseguire con la TAV erano secondo Borghi che così facendo i soldi ri-entrano in circolo e quindi fanno moltiplicatore (…).
Un tale approccio è riduttivo e forviante, senza andare oltre (…). Infatti bisogna spiegarla tutta la storia, caro Borghi.
Come cambiano le cose quando si va al governo! (Trump insegna che la coerenza paga….)
Prima di tutto le boundary conditions (sono ingegnere, mi piace sottolinearlo): il concetto keynesiano di moltiplicatore associato alle grandi opere, di cui alla teoria di Keynes, presupponeva di essere in un contesto di valute sovrane (ad es. sterlina o dollaro) stampabili teoricamente all’infinito. Visto che sia i gialli che i verdi – per loro stessa ammissione – NON vogliono uscire dall’euro (loro dicono così, non io, dunque tale deve essere l’IPOTESI di lavoro, a cui seguirà la TESI), oggi (TESI) fare lavori “assurdi” ossia senza ritorno economico come la TAV con una valuta straniera (l’euro) significa allocare nel modo peggiore possibile una risorsa scarsa e non una risorsa che – come nel caso della sterlina di Keynes o del dollaro successivo – si poteva stampare all’occorrenza e teoricamente all’infinito. Dunque, per tale ragione, anche in relazione ai vincoli di bilancio EU che hanno portato il governo a ridurre il deficit dal 2,4% al 2,04% (…), nel contesto specifico oggi è necessario selezionare opere che abbiano un ritorno oltre che un senso economico compiuto. Ad esempio evitando opere la cui gestione successiva possa essere in perdita (come è il caso reale del gemello della TAV tra Francia e Spagna, ndr).
Se poi vogliamo restare al mero moltiplicatore come primario riferimento per scegliere un’opera, prima della TAV bisognerebbe rifare un numero sproporzionato di cavalcavia stradali italiani, che farebbero moltiplicatori decisamente più grandi di un solo grande buco nella montagna!
Ossia per l’Italia oggi decidere forzatamente di fare la TAV (dentro l’EU e dentro l’euro) significa dover poi chiedere ai cittadini di contribuire a sovvenzionare il progetto con le loro tasse….

L’altra considerazione che va fatta – e non bisogna essere necessariamente limitati come troppi economisti che si sono succeduti nei pressi di palazzo Chigi per arrivarci – è che Keynes era inglese e dunque quando elaborava le sue teorie faceva riferimento non ad una valuta qualsiasi, ma ALLA VALUTA di riferimento globale (sterlina o dollaro). Tradotto, avendo una valuta “non dominus” fa cambiare leggermente le valutazioni rispetto alla teoria generale di Keynes, sebbene senza far crollare l’assioma come invece nel caso precedente (…).
Dunque, nel caso italiano attuale, ossia restando nell’euro come il governo sostiene di voler fare, il ragionamento di Borghi di cui sopra è – sorry – una emerita stupidaggine.
Onestamente faccio fatica a comprendere come sia possibile che una persona come il Borghi possa continuare ripetere tale litania fino allo spasimo.  Posso capirla solo inserendo nel contesto l’aspetto politico, ossia che Borghi – che non ritengo stupido, anzi – stia difendendo una linea di partito fatta in larga parte da competenze istituzionali mutuate da ex sindaci delle valli bergamasche, bresciane, venete o affini (…).
Lo rispetto per questo.
Ma resta il nostro dovere civico di rimarcare come oggi, in un momento di crisi mortale per la Penisola, non sia possibile sprecare nemmeno un euro di risorse in progetti costosi, senza ritorno e relativamente inutili soprattutto se messi in relazione con altri potenziali progetti.
Che sia chiaro: qui nessuno è contrario alla TAV di per se, i cittadini sono invece contrari allo sperpero inutile di denari pubblici. E per decidere quali progetti mandare avanti bisogna fare tutti i numerelli, ossia usare un metodo riconosciuto proprio come si è fatto con la relazione del prof. Ponti. Il mondo gira così caro Borghi; anche l’EUropa, che guarda caso non accenna a criticare il metodo di valutazione –   e come potrebbe! -, perchè è lo stesso usato dalla banca mondiale per progetti simili, ndr. Nella fattispecie tutti noi auspichiamo che le risorse budgettate per la TAV vengano riallocate su progetti a maggior moltiplicatore (ed a maggior ritorno oltre che senso). Consiglierei per altro che tali progetti possano inserirsi in una strategia di filiera atta a costruire non solo le infrastrutture ma anche di fare seeding per le imprese che dovranno approntare le infrastrutture future. Ad esempio, se si volesse superare i trasporto su gomma e prediligere quello su treno, facendo in modo che nascano aziende italiane specializzate nella costruzione delle infrastrutture che poi saranno utilizzate dall’Italia nell’ambito di tale strategia, senza doverle comprare dall’estero. In tale contesto la TAV potrebbe in futuro diventare un progetto ragionevole in quanto la strategia di filiera migliorerebbe il rapporto costi/benefici.
Sinceramente mi fa specie che si debba essere noi dall’esterno a suggerire queste ovvietà.
Mi sovviene ad esempio l’opportunità del quadruplicamento della linea tra Svizzera ed Italia, tra Lugano e Milano, che è causa di colli di bottiglia e costanti ritardi oltre che comportare un tempo di percorrenza superiore ai 75 minuti per un ridotto tratto ferroviario: che si faccia un’analisi del rapporto costi/benefici di tale progetto di ampliamento e nel caso si riversino lì parte delle risorse della TAV; tale scelta per altro contribuirebbe a facilitare il collegamento dell’Italia non con un’area relativamente poco interessante per gli interessi italiani come il lato francese delle Alpi per l’Italia, orientandosi invece dove sarà il vero cuore pulsante dell’economia europea dei prossimi decenni, il centro-est Europa.
Mitt Dolcino

lunedì 11 febbraio 2019

Sentenza interessante della Suprema Corte che apre uno spiraglio importante alle richieste di risarcimento agli intermediari finanziari

Con la sentenza 27442 del 30/10/2018 la Suprema Corte ha portato una importante precisazione riguardo la determinazione dell’usura nei contratti finanziari, nella fattispecie un contratto di leasing, Nel giudizio di primo grado, per quanto riguarda un contratto di leasing, una società aveva richiestola gratuità del contratto a fronte della previsione di un tasso di mora pattuito superiore al tasso soglia usura.
I legali della società hanno sostenuto la rilevanza del tasso di mora ai fini della verifica dell'usura e hanno chiesto l'applicazione delle disposizioni dell'art. 1815 c.c. anche agli interessi corrispettivi.
Il resistente affermava la non applicabilità dell'art. 644 c.p. agli interessi moratori.
Con sentenza di primo grado il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda, ritenendo l'art. 644 c.p. inapplicabile nel caso specifico in cui gli interessi moratori superavano il tasso soglia usura.
In appello, il ricorso della società è stato rigettato con le seguenti motivazioni:
    1) gli interessi corrispettivi e quelli moratori non sono omogenei, poiché:
A) i primi remunerano un capitale preso a prestito mentre i secondi rappresentano una sanzione al fine di dissuadere il debitore dall’inadempimento;
B) i primi sono necessari, i secondi eventuali;
C) i primi hanno una finalità di lucro, i secondi di risarcimento;
2) nessuna norma di legge stabilisce la nullità degli interessi moratori eccedenti il tasso soglia;
3) a rafforzare questo principio è lo stesse Ministero del Tesoro che nelle rilevazioni periodiche non rileva gli interessi moratori;
4) In questo caso, sarebbe irrazionale ritenere usurari interessi moratori al saggio dell’8,6%, mentre nello stesso periodo, il tasso di mora delle transazioni commerciali è al 9,25%.
Vediamo ora invece cosa ha stabilito la Cassazione:
Nella sentenza in oggetto, la Cassazione afferma la assoggettabilità degli interessi di mora alla disciplina dell'usura ex art. 644 c.p., motivando il proprio dissenso dagli argomenti presenti nella sentenza della Corte d'Appello.
La Suprema Corte, inoltre, ha rigettato la tesi secondo cui la verifica dovrebbe essere condotta considerando per la soglia d'usura la maggiorazione media del 2,1% sostenuta in varie istruzioni e circolari della Banca d'Italia.
La Cassazione ha affermato, al di fuori del tema di decisione della sentenza, che agli interessi moratori non si applica l’art. 1815 c.c. II comma, in quanto la normativa è specificatamente riferita ai soli interessi corrispettivi. Nel caso degli interessi moratori si deve prevedere l’applicazione del tasso legale.
In questo si rileva contrasto con la precedente sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 24675 del 19.10.2017, che aveva riferito il concetto di interesse usurario alla sola definizione contenuta nell'art. 644 c.p. (Tale articolo non distingue interesse corrispettivo e interesse moratorio), Inoltre aveva rilevato che l'art. 1815 c.c. presuppone "una nozione di interessi usurari definita altrove", ovvero nell'art. 644 c.p.
Prosegue quindi sostenendo che la legge 108/96 (Legge sull’usura) non fa nessuna distinzione tra interessi moratori e corrispettivi; Conclude quindi affermando che sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori, sono usurari se superano il tasso soglia;
Afferma inoltre che tale interpretazione sarebbe imposta dall’esigenza di prevenzione dei fenomeni usurari.
Il ricorrente afferma che nel caso di pattuizione contrattuale di interessi moratori usurari, la disciplina da applicare è quella ai sensi dell’art. 1815 c.c., secondo cui se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
Perché tale motivo è fondato ?
Perché anche gli interessi di mora, se vengono pattuiti ad un tasso eccedente la soglia, vanno definiti ipso iure usurari.
Tale principio è già stato innumerevoli volte affermato sia dalla Suprema Corte in sede civile e penale, sia dalla Corte costituzionale.
L’articolo 2 della legge 108/96 vieta di pattuire interessi eccedenti la soglia usura.
Questa norma s’applica agli interessi promessi a qualsiasi titolo:
Corrispettivo, cioé per remunerare un capitale o dilazionare un pagamento (Art. 1282 c.c.)
Moratorio, cioè dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori: art. 1224 c.c.).
Si può quindi concludere che, nessuna norma che vieta la pattuizione di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi usurari.
Sia gli interessi convenzionali che i moratori non possono essere in contrasto con la legge 108/96. La ragione di tale legge era di introdurre un criterio oggettivo tendente sia alla tutela delle vittime dell’usura sia dell’interesse pubblico teso al corretto svolgimento delle attività economiche.
Escludere pertanto, dall’applicazione di quella legge il patto di interessi convenzionali moratori sarebbe irrispettoso e non coerente con lo scopo che si prefigge il legislatore e potrebbe condurre al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento.
Infine, in totale paradosso, potrebbe favorire pratiche fraudolente come la decisione di stabilire cortissimi termini di adempimento al fine di lucrare interessi non soggetti ad alcuna soglia stabilita per legge.
Se vogliamo fare un excursus storico della disciplina degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori, possiamo scoprire alcune cose interessanti:
La prima è che gli interessi moratori nacquero per compensare il creditore dal rendimento del capitale non restituito. Lo scopo era quindi di riprodurre la remunerazione del capitale tramite un risarcimento. Quindi l’affermazione che le due categorie di interessi siano funzionalmente differenti non è assolutamente vera;
La seconda è che l’opinione secondo cui gli interessi moratori avrebbero una funzione diversa da quelli corrispettivi non aveva lo scopo di togliere gli interessi moratori dai regolamenti delle legge sull’usura, ma aveva lo scopo di aggirare il divieto canonistico di pattuire interessi tout court;
La terza notizia interessante è che la presenza nel nostro codice civile di due differenti discipline riguardanti gli interessi moratori (art. 1224 c.c.) e gli interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.) è solo un retaggio dell’unificazione del codice civile e di quello di commercio, che avevano risolto in termini diversi il problema della decorrenza degli effetti della mora.
La separazione tra le due categorie di interessi non solo è dunque un falso storico, ma nacque per fini non più attuali.
Tale effimera distinzione degli interessi in base alla funzione non giustifica affatto la pretesa di far sfuggire gli interessi moratori alla applicazione della legge 108/96.
Quindi Il primo motivo di ricorso è stato accolto dalla Suprema Corte e la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d‘Appello di Milano, la quale nel riesaminare il tutto applicherà il seguente principio di diritto:
E’ nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della legge 108/96, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali
Il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia riferitoa quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 l. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia.
Nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi. In presenza di interessi moratori usurari, al danneggiato vanno attribuiti gli interessi legali.

domenica 27 gennaio 2019

L’ordine naturale delle cose: Il primato della politica e dell’economia sulla finanza.


A mio modesto parere, questo è il dramma che si sta consumando in questi turbolenti anni.
La politica e l’economia hanno perso il primato sulla finanza che è passata a comandarle e a decidere le sorti di stati interi come su una tavola di risiko.
Vorrei ricordare agli euroinomani anti-svalutazione e traditori delle loro nazioni, cosa è successo nell’anno 1992 quando ci fu cun fenomeno che, per l’euroinomane convinto, costituisce il peggior crimine che si possa commettere : la svalutazione della moneta.
Ebbene sì, nel 1992 l’Italia svalutò la liretta del minchia che permetteva a tutti di avere un salario che non perdesse potere di acquisto e condurre una vita dignitosa secondo i dettami dell’art. 36 della Costituzione.
Articolo 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Vediamo i “disastri” generati dalla svalutazione che non è l’inflazione.
Vediamo le definizioni prese dal testo preferito dai luogocomunisti eoroinomani : wikipedia.
Svalutazione : In economia la svalutazione è la perdita di valore di una moneta nei confronti di una o più monete (in regime di cambi fissi); quando invece ci si trova in regime di cambi variabili si parla di deprezzamento della moneta. Con lo stesso termine si può intendere anche la diminuzione del valore di una merce nei confronti della moneta, ed è un normale processo della commercializzazione.
Inflazione : in macroeconomia l'inflazione (dal latino inflatio «enfiamento, gonfiatura», derivato da inflāre «gonfiare» è l'aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta
Come ben vedete dalla definizione del testo preferito dai luogocomunisti, non c’entrano nulla l’una con l’altra, ma questo è il gioco preferito dagli economisti ordoliberisti prezzolati.
Indurre confusione per raccontare storie e soprattutto balle per truffare il popolo.
Gli economisti al soldo delle elite ordoliberiste, si divisono in due categorie : quelli intelligenti che fabbricano i messaggi sbagliati e quelli ignoranti che li diffondono.
Per diffondere fandonie devi essere stupido, perché se non sei stupido ti rifiuti di diffonderle.
Ma torniamo al 1992 :
Tale evento è stato descritto dai media mainstream come il peggiore dei mali, ma noi cerchiamo di vedere come realmente sono andate le cose.
L’eurone panacea di tutti i mali non esisteva, ma l’Italia faceva parte dello SME (Sistema Monetario Europeo) che aveva una valuta di riferimento che si chiamava ECU a cui tutte le valute nazionali aderenti dovevano stare agganciate, con una oscillazione ammessa tra il 3% e il 5% a seconda delle divise.
La Germania poteva vantare un’economia più solida di altri, con un sistema produttivo industriale di assoluta avanguardia e con una moneta forte che in pratica faceva da riferimento per tutte le altre economie.
Il marco così forte portava a casa nostra moltissimi vantaggi in primis un sacco di turisti tedeschi che venivano da noi perché avevano il marco fortissimo e il nostro mare era molto conveniente.
I media mainstream vi diranno che i nordeuropei vengono ancora.
Certo, i radicalchic che vanno nelle Spa altoatesine e nelle masserie del salento.
Manca la fascia dei popoli europei che riempiva le spiagge della Romagna.
Io vivo in Romagna e vi assicuro che, durante l’estate, le auto con targhe del nord europa si contano sulle dita di una mano, mentre con la lirina del minchia, come si dice in Romagna, “ce n’era un ginocchio”.
Ora questi vanno in altri paesi dove sfruttano la forza dell’euro per fare una vacanza che sia anche conveniente.
Spendono euro a Francoforte come a Rimini. Allora cosa fa il miracoloso eurone ?
Non permettendo la svalutazione che è fisiologica per non svalutare lavoro e potere d’acquisto, fa andare i turisti e i loro soldi da altre parti.
In Croazia o in altri paesi dove sfruttano la forza dell’euro a loro vantaggio.
Vogliamo dire una volta per tutte che entrando nel cambio fisso ci siamo dichiarati “Tafazziani”?
L’Italia faceva una politica monetaria adatta alla sua situazione di una economia che doveva adattarsi continuamente alle conseguenze di una mala - gestione della cosa pubblica.
Ma la classe politica della prima repubblica spazzata via da tangentopoli, aveva una caratteristica fondamentale : sapeva tenere la finanza al proprio posto e la politica conservava il primato.
Il continuo aumento del costo del lavoro dovuto ai risultati positivi delle lotte per i diritti, determinava una continua perdita di competitivi del sistema produttivo italiano a cui si doveva far fronte con svalutazioni della lira.
Ma questa non era un’anomalia particolare, perché praticamente tutte le valute mondiali si svalutavano nei confronti del marco tedesco. Tutte dollaro compreso. La germania aveva un sistema produttivo all’avanguardia, vendeva all’estero tanti prodotti con conseguente apprezzamento del marco tedesco.
Qualche trauma queste svalutazioni lo generavano, ma in modo molto circoscritto e in breve tutto si riequilibrava.
Negli anni precedenti il 1992 la Germania, per non perdere competitività e per difendere i suoi interessi, voleva stabilizzare i cambi fra le valute europee facendo aderire i paesi dell’area allo SME.
Sfruttando tutto il nostro spirito tafazziano anche noi aderimmo a un sistema fatto ad hoc per la grande industria tedesca che penalizzava il nostro tessuto industriale fatto al 99% da piccole e micro imprese. Infatti, dopo qualche anno, tutti i nodi vennero al pettine.
Nel 1992, la situazione delle aziende italiane divenne insostenibile soprattutto per gli esportatori, mentre gli importatori facevano affaroni andando ad acquistare all’estero tanti beni primari causa il fatto che i prodotti nazionali non erano più competitivi.
Ma il tafazzismo nazionale trovò un grande rappresentante.
L’allora direttore della Banca d’Italia, Carlo Azelio Ciampi ricordava i mali della svalutazione e ricordava che il paese non doveva svalutare perché una valuta forte obbligava l’amministrazione pubblica ad essere più virtuosa e l’industria verso le produzioni con elevato valore aggiunto.
Il tutto condito dall’annuncio di sventure per l’Italia.
Avevamo quindi una serie di traditori dell’interesse nazionale capitanati da Ciampi e dalle oligarchie monopoliste che avevano ben chiaro il disegno da perseguire.
I grandi imprenditori come Benetton, si sono trasformati in monopolisti concessionari di servizi pubblici e questi, da una lira forte, avevano grandi vantaggi. Inoltre avevamo tutta la oligarchia nazionale con capitali in lire e soprattutto la finanza con interessi a livello internazionale.
Quindi si è avuto il sorpasso definitivo della finanza sulla politica e sull’economia.
Nelle grandi imprese come la Fiat si dava importanza alla componente finanziaria rispetto a quella industriale. Con il licenziamento dell’Ing. Vittorio Ghidella avvenuto il 25 novembre 1988, la Fiat disse addio al settore industriale delle automobili per diventare un venditore di debiti sotto la guida di Romiti.
Qui si scatenò la fantasia dei media prezzolati con tassi di inflazione a 2 cifre, perdita di fiducia dei mercati, bilancia commerciale sotto lo zero, prezzo del petrolio alle stelle, invasioni di cavallette, terremoti, cataclismi, uragani, alluvioni, miseria e perdita di valore per tutti.
Il patriota Ciampi finì le riserve valutarie della Banca D’Italia in difesa di una parità di cambio insostenibile e fummo obbligati a svalutare.
Ciampi, per questo suo grande servizio reso alla comunità, fu nominato prima superministro dell’economia, poi Presidente Del Consiglio e poi Presidente della Repubblica.
Il popolo italiano ringrazia.
Successe che la lira tracollò. Il marco tedesco ad agosto 1992 quotava 750 lire per 1 marco e arrivò a quasi 1300 lire. Quindi la lira in 3 mesi perse il 40% del suo valore rispetto al marco tedesco.
Vediamo i danni di questa svalutazione.
Per le nostre banche locali, in particolare BCC e Popolari quasi nessun danno.
Tali banche erano pochissimo internazionalizzate, facevano il loro lavoro di banche del territorio che davano credito alla economia locale. Ricordiamo che il Signor Enzo Ferrari, senza il Banco San Geminiano e San Prospero al giorno d’oggi non lo conoscerebbe nessuno.
Tali banche che avevano avevano impieghi e raccolta in lire non fallirono e non vi furono episodi di danno irreparabile al sistema finanziario.
Quelli che soffrirono furono gli importatori e le filiali italiane di aziende straniere.
In particolare le case automobilistiche straniere, fecero quello che non vogliono fare adesso e che hanno dovuto fare con la Brexit : per mantenere le quote di mercato si tagliarono i profitti assorbendo la svalutazione con il proprio margine commerciale.
Gli italiani indebitati in valuta estera erano coloro che avevano contratto mutui in ECU o le grandi imprese con attività estere. Ma queste lavoravano anche per l’estero e potendo contare su incassi in valuta sono state in grado di minimizzare le perdite.
Quindi i danni alla finanza furono veramente irrisori.
Il sistema finanziario italiano era molto ben strutturato e diversificato ed ha assorbito benissimo lo shock.
Vediamo ora di analizzare cosa è successo alla economia reale e soprattutto al potere di acquisto delle persone a reddito più basso.
Per i beni prodotti in Italia che prima dell’euro erano la maggioranza non successe esattamente quasi nulla. Gli incrementi dei prezzi ebbero un trend di aumenti leggermente superiori al normale ma in modo trascurabile.
I libberisti raccontavano che il prezzo del petrolio sarebbe schizzato alle stelle.
Vediamo quanto quotava il petrolio nello stesso periodo :
Prezzo Petrolio
2/8/1992 21,78 $
1/9/1992 21,65
1/10/1992 21,77
1/11/1992 20,73
1/12/1992 19,45
Le oscillazioni del prezzo di una materia prima incidono molto sul bilancio degli speculatori, ma incidono in una percentuale molto bassa sul prezzo al consumo (che è quello che interessa ai normali utenti).
Per il petrolio, la componente fiscale incide sul prezzo alla pompa per circa il 70%.
Quindi la componente “vera” del prezzo è circa il 30%.
Ed è questa la parte che subisce l’aumento dovuto alla svalutazione.
Se svaluto del 20% la parte che aumenta è il 20% del 30% e quindi l’aumento vero per il consumatore è circa del 6%.
Percentuale quasi ridicola rispetto alla catastrofe preannunciata dalle elite finanziarie.
Quindi nel 1992 anche la benzina ebbe un aumento molto minore dell’incremento del prezzo del petrolio in lire dovuto alla svalutazione.
Per quanto riguarda poi i beni quali automobili o elettrodomestici di provenienza estera ci fu un incremento abbastanza modesto. Le aziende estere presenti in Italia per non rinunciare alle loro quote di mercato si tagliarono i profitti e assorbirono con essi la svalutazione. Nel settore dell’auto, per esempio, i margini di profitto delle case straniere, causa il cambio, erano elevatitissimi. Tali case hanno venduto addirittura sottocosto, pur di non perdere le quote del secondo mercato europeo.
La iperinflazione ventilata dai libberisti restò solo un sogno e i prezzi si stabilizzarono.
Nel tessuto economico italiano formato da da piccole e medie industrie con ottime quote di export successe una cosa strana. Nessun cataclisma previsto dai libberisti, ma gli ultimi anni del miracolo italiano.
Il lavoro aumentò esponenzialmente dapprima per gli esportatori e in seguito tutti gli altri a traino. Le aziende avevano i portafogli ordini che scoppiavano, ripresero gli investimenti e gli utili. L’occupazione ebbe un boom come non si ricordava da anni.
Gli anni seguenti al 1992 furono gli ultimi anni di splendore per la industria italiana prima di essere di nuovo ingabbiata nella gabbia dell’eurone risolvi problemi.
Nessuno ricorda questi anni di splendore, perché i media prezzolati hanno in seguito solo ricordato la svalutazione mettendo in ombra i suoi effetti.
Il valore del nostro PIL calò bruscamente.
Questo fu un disastro per i non capitalisti?
Per nulla, infatti, per effetto della svalutazione e la successiva forte ripresa dell’economia reale, la ricchezza vera degli italiani aumentò anche se il PIL nazionale, espresso in ECU o in dollari, ebbe bisogno di molti anni per riprendere i precedenti valori.
Ciò è stato considerato una calamità dai banchieri ma per coloro che vivono di economia e non di finanza ci hanno guadagnato perché in quegli anni la ricchezza si è ripartita a vantaggio di questi ultimi.
Quindi capite perché le oligarchie finanziarie vogliono l’eurone e i suoi cambi fissi.
Non consentono la ripartizione della ricchezza perché il più forte ammazza il più debole, cioà la finanza ammazza l’economia reale che produce ricchezza.
In questi anni la finanza si è letteralmente mangiata l’economia e la politica arrivando a eleggere i governi di continenti interi.
Siamo quindi governati da un sistema tecnicamente fallito che sta usurando gli Stati per risolvere i propri problemi dovuti solo ad avidità senza limiti.
Salvare il sistema è tecnicamente impossibile e occorre solo che una politica sana e onesta si reimpadronisca del suo giusto primato.
Questa politica deve favorire l’economia reale che produce ricchezza reale e non moltiplicatori di soldi espressi come numeri su un computer.
I politici corrotti e traditori delle loro nazioni stanno cercando di mantenere un sistema finanziario marcio, corrotto e depredatore che protegge i privilegi degli oligarchi e della loro cricca. Tale sistema bastona e taglia fuori i migliori e premia i peggiori e capaci di essere servi del sistema stesso.
Tali peggiori, agiscono e passano sopra a chiunque solo per il loro smodato interesse personale e la propria sete di potere.
Hanno creato un perverso sistema intrecciato a tal punto che i problemi del dominante diventano problemi del dominato.
Adesso la Germania ha problemi di calo di produzione industriale e il problema diventa anche italiano.
Quando acquisti una casa da ristrutturare, devi decidere se ristrutturarla o abbatterla e ricostruirla.
Il sistema è a questo punto.
Non è più ristrutturabile, ma va abbattuto e ricostruito da zero con nuove regole che taglino gli artigli agli avventurieri che usano i soldi che gli altri hanno guadagnato con il sudore della loro fronte.
In che modo ? Con una regola semplice. Stabilire la gerarchia.
  1. Politica
  2. Economia
  3. Finanza
Con la finanza a disposizione delle prime due per l’obiettivo della piena occupazione e del benessere della popolazione
Tutto il resto sono chiacchiere.