domenica 23 dicembre 2012

Mario Monti Weimar Reloaded - Il grande e libero Maurizio Blondet


Mario Monti, Weimar reloaded
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Lo scorso 14 dicembre il nostro ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è volato a Washington ad incontrare il suo pari grado, Tim Geithner, e «investitori» finanziari non meglio identificati. Ad essi, secondo Il Corriere, Grilli ha spiegato il piano del governo Monti per ridurre un poco il debito pubblico, che Monti ha continuato a far salire rispetto al PIL, inarrestabile. Il calo del PIL (e non le tasse, secondo Grilli) ha fatto sì che esso si divaricasse dal debito: quello scende e, per forza, questo sale. La soluzione è aumentare il PIL «nominale», cioè quello reale più l’inflazione (che è al 2%, secondo loro), per far convergere le due entità. Come fare? Tranquilli, ha detto Grilli ai finanzieri esteri: «Il continuo aumento della disoccupazione spinge chi cerca un posto ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando così un po di competitività di prezzo alle imprese»Le imprese italiane potranno dunque «ridurre i costi... del lavoro» (Il Tesoro e la via anti-debito).

Ecco dunque il progetto di «rilancio» e «crescita» di Monti (e di Bersani poi, per cui Monti è «un punto di non ritorno»): nessuna liberazione delle imprese dallo strangolamento della burocrazia pletorica inadempiente, nessun taglio ai «costi della politica»; niente blocco degli statali e dei loro stipendi, già il 15% superiori a quelli privati; niente fiscalità che non sia persecutrice di chi produce, nessun taglio agli statali di lusso con stipendi miliardari. Quello che vuol ridurre, il governo, sono i salari privati, ossia di quelli che producono, non dei parassiti. Mettendo in competizione gli occupati con i disoccupati, costretti ad «accettare compensi sempre minori».

A parte l’odiosità morale, è il caso di avvertire che proprio questa «soluzione» fu quella che stroncò definitivamente l’economia della repubblica di Weimar (1919-1933), e fece sì che i tedeschi votassero il NSDAP e la facessero finita col liberismo. Non fu infatti l’iper-inflazione, come alcuni credono, a provocare il rigetto della democrazia; l’inflazione tedesca, benché atroce per la classe media, era già finita nel 1923, e l’istituzione pluralista durò ancora 10 anni. A provocare il tracollo fu invece la deflazione, unita alla recessione, provocata da programmi di «austerità» rigorosi secondo l’ortodossia liberista, e infine il taglio dei salari privati ordinato per decreto dal cancelliere Heinrich Bruening.

I punti di contatto fra la repubblica italiana d’oggi, e fra Monti e Bruening, sono così numerosi da inquietare. Andiamo per ordine:

Fu la prima globalizzazione (1919-1929): vigeva il Gold Standard, il che significa: negli scambi internazionali si usava una moneta comune globale: l’oro, e le monete in quanto erano agganciate all’oro con cambio fisso. Una volta domata l’inflazione, la Germania – sconfitta nella Prima Guerra Mondiale - riagganciò il marco all’oro, e conobbe una rapida ripresa.

Crescita drogata da grandi prestiti USA: la Germania era stata condannata a pagare colossali «riparazioni» a Francia e Gran Bretagna perché bollata dalla «comunità internazionale» (la conosciamo bene anche oggi) come colpevole della Grande Guerra. Tutti gli anni avrebbe dovuto versare 2,5 miliardi di marchi oro fino al 1929 (piano Dawes), poi 37 versamenti di 2,05 miliardi di Reichsmark, poi altri di 1,65 miliardi di marchi fino al... 1988 (piano Young). Berlino non ce l’avrebbe mai fatta, se il governo americano (appunto Dawes e Young, banchieri-politici USA) non avesse fornito altrettanto enormi crediti.

Tanta generosità non era disinteressata, e fruttava grassi profitti. Gli USA avendo venduto forniture belliche gigantesche agli Alleati durante la guerra europea, erano divenuti i grandi creditori del mondo, e Fort Knox traboccava di oro affluito dai Paesi debitori (che erano poi gli alleati; ma gli affari sono affari). Il Gold Standard obbligava a moltiplicare di altrettanto i dollari: un mare di liquidità in eccesso stava per abbattersi sull’economia USA, che già subiva la recessione inevitabile una volta finita la super-produzione bellica. La Federal Reserve e i banchieri USA impedirono tale effetto abbassando artificialmente i tassi - la stessa cosa fatta da Greenspan negli anni '90, e da Bernanke poi – ed incitando all’esportazione di dollari: come nella storia dei petrodollari degli anni '70, esportarono così la loro inflazione all’estero.

Assoluta libertà di circolazione dei capitali: questa fu la decisione decretata da Washington e da Londra, potenze vincitrici. I capitali americani, poco remunerati in patria, affluirono in Germania. Nel 1925, il tasso di sconto della Federal Reserve era del 3%; in Germania, era sul 10%. Negli anni seguenti, la remunerazione del capitale investito in USA fu sul 4%, in Germania spuntava l’8%. Il doppio.

Pura finanza speculativa, perché basata su un circolo vizioso finanziario: i capitalisti USA si facevano prestare dalla FED al 4%; con questa liquidità indebitavano i tedeschi all’8%, e con questi prestiti i tedeschi pagavano le riparazioni a francesi e inglesi. Come «garanzia» per i generosi prestiti, furono ipotecate la Reichsbank (la Banca Centrale), le Reichsbahn (le ferrovie nazionali), i diritti di dogane e l’imposta sui consumi.

Ma una parte delle riparazioni doveva essere pagata in merci e beni: e dunque parte dei prestiti USA andarono anche a finanziare l’industria tedesca.

La repubblica di Weimar piaceva all’alta finanza USA come uno Stato «business friendly»: le dava le due garanzie che il liberalismo capitalista desidera in un Paese per investire, il «mercato» e la «democrazia». E inoltre, i salari tedeschi erano bassi – milioni di soldati smobilitati cercavano un lavoro a qualunque prezzo – e i bassi salari stimolano sempre gli investimenti industriali: come abbiamo visto fino ad oggi in Cina.

Bolle finanziarie: il risultato di tanto denaro a disposizione provocò oltre ad un surriscaldamento industriale, gigantesche «bolle». Rapidamente, i terreni e i fabbricati rincararono del 700% a Berlino, e del 400% ad Amburgo. I giornali seguaci del liberismo (perché pagati dai capitalisti) lanciarono una campagna per «liberalizzare gli affitti». Gli affitti erano stati bloccati durante la guerra; ma ormai era «ingiusto», dicevano i media, visto che gli immobili si erano tanto apprezzati, che essi rimanessero fermi. Una legge sbloccò gli affitti, che crebbero immediatamente del 125%. A pagarli erano soprattutto gli operai, appena urbanizzati, risucchiati nelle metropoli dall’industria assetata di manodopera. Berlino passò da 2 a 6 milioni di abitanti, e gli alloggi non bastavano mai. I padroni immobiliari erano quelli che guadagnavano.

Anche a spese delle industrie, che pagavano di più affitti e mutui e fidi per i fabbricati industriali. «Leconomia era sempre più dipendente dal capitale estero; il peso degli interessi continuava a crescere (...) I crediti esteri erano per lo più a breve, ma erano piazzati in investimenti a lungo termine, sicchè la minima crisi economica presso i creditori avrebbe avuto conseguenze gravissime per la repubblica» (così lo storico Horst Moeller).

Allora la crisi fu quella del 1929, che da un giorno all’altro lasciò l’economia germanica a secco di capitali americani. Oggi è stata la crisi dei sub-prime in USA, che ha destabilizzato il sistema bancario globale, rivelandone l’insolvenza.

Ma intanto, tra il 1925 e il '29, l’economia cresceva trionfalmente. Erano Die Goldener Zwanziger, i dorati anni '20 immortalati dalle vignette di Grosz, coi ricconi grassi in cilindro, sigaro e frac che palpano puttanelle (figlie della classe media rovinata) nei cabaret. Gli industriali tedeschi rispondevano al peso crescente degli interessi passivi e dei costi da «bolla» sui fabbricati, creando un apparato industriale ad alta intensità di capitale, in modo da risparmiare sui salari.

«Le industrie smantellavano le vecchie fabbriche e le rimpiazzavano coi più nuovi macchinari. La Germania stava diventando il Paese industriale più avanzato del mondo, più degli stessi Stati Uniti (...) l’intero sistema ferroviario fu rinnovato...». Così Bruno Heilig, giornalista ebreo dell’epoca, che scampò nel 1938 a Londra (Bruno Heilig, "Why the German Republic Fell").

Non mi dilungherò sulle «privatizzazioni» scandalose e truffaldine che allora prosperarono. Mi limito a citare il nuovo porto sulla Sprea, che il municipio di Berlino rammodernò spendendo milioni di marchi, attrezzandolo di gru e magazzini (era il porto che serviva il rifornimento della capitale) e che poi fu ceduto a due privati – con l’argomento che la mano pubblica non poteva gestirlo «con efficienza e profitto» . Il consorzio privato, Schenker & Busch, pagò 396 mila marchi – unico pagamento per 50 anni di affitto (il solo prezzo d’affitto del nudo terreno del porto sarebbe stato di 1 milione di marchi l’anno) e per giunta si fece dare dal comune un prestito di 5 milioni di marchi come capitale operativo. L’alto funzionario pubblico responsabile del progetto, e che aveva poi consigliato la privatizzazione, lasciò l’impiego pubblico e fu assunto da Schenker & Busch con uno stipendio principesco. Intanto «i lavoratori berlinesi, già aggravati dal rincaro delle pigioni, pagavano un tributo a quei privati per ogni pezzo di pane che mangiavano» (Heilig).

La crescita a credito cominciava a perdere colpi. Gli interessi sui debiti degli industriali crescevano, crescevano i costi degli affitti e dei macchinari. Ma per qualche anno «ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo i salari e licenziando lavoratori» (Heilig). È significativo che anche durante il boom dei Venti Dorati, i disoccupati restarono tanti, si mantennero sui 2 milioni. Tanto meglio, per gli industriali: manodopera a basso costo. E coi «risparmi» sui salari, comprarono macchinari ancora più efficienti onde aumentare la produttività. Così gli aveva insegnato il liberismo anglosassone. E i tedeschi sono allievi-modello.

L’altra faccia della produttività. Accadde quello che sempre accade quando si retribuisce troppo il capitale (i banchieri, essenzialmente) e poco il lavoro: le merci, prodotte in quantità sempre maggiore, non trovano acquirenti, perché i consumatori (che sono i lavoratori) hanno perso potere d’acquisto.

Gli imprenditori corsero ai ripari applicando i dettami del liberismo americano appena appreso. Nel 1931, ridussero la quantità di merci prodotte, sperando con ciò di sostenerne i prezzi. Ma così facendo «interessi, tasse, ammortamenti ed affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni beneIl costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profitti, fino a divorarli» (Bruno Heilig).

Quali misure vennero prese? Altri licenziamenti in massa. Ovviamente, «per ogni lavoratore licenziato era un consumatore che scompariva», ha scritto Heilig, sicché i datori di lavoro «ne ebbero ben poco sollievo».

Già. A far colare a picco le imprese erano i «costi non comprimibili», non già il costo del lavoro; ma questo era il solo ritenuto «comprimibile» – e fu compresso senza pietà. Furono i costi incomprimibili, nel corso del 1931, a rendere insolventi sempre più imprese. Gli interessi sui debiti diventarono impagabili, e non furono più pagati. Con l’insolvenza dei debitori-imprenditori, cominciarono a fallire le banche.

Il cancelliere Heinrich Bruening, salito al potere nell’ottobre ‘31, spese miliardi di marchi (dei contribuenti) per «salvare le banche», applicando da allievo modello i dettami del liberismo anglosassone. Come oggi, quando sono le banche a crollare per i loro investimenti sbagliati, il «mercato» viene sospeso, e invece di lasciarle fallire, si invoca la mano visibile dello Stato, l’intervento pubblico a loro favore.

Non bastò, ovviamente. Allora Bruening, che ormai gestiva l’economia a forza di decreti d’autorità, lanciò una politica di austerità e rigore, tagli di bilancio, deflazione deliberata. Il cancelliere «ascoltava i funesti consigli del dottor Sprague, lemissario della Bank of England. Il quale naturalmente voleva la continuazione della politica di deflazione ad ogni costo; deliberata permantenere il valore dei fantastici investimenti della City in Germania» (Robert Boothby: Recollections of a Rebel, 1978).

Anche oggi, il rigore e la deflazione decretati da Mario Monti sono nel solo interesse dei grandi creditori internazionali, che vogliono mantenere il «valore dei loro investimenti». Proprio di questo il nostro (loro) Grilli è andato a rassicurare gli investitori americani che creerà «crescita» tagliando i i salari.

Nel 1931, Bruening fece lo stesso:

per decreto, ordinò una riduzione generale dei salari del 15%.
Nella sua teoria, riteneva che riducendo il potere d’acquisto del lavoratori, si sarebbe prodotta di conseguenza una riduzione dei prezzi. Il «prezzo umano», la messa alla fame dei lavoratori e delle loro famiglie, non gli sembrò indegno d’esser pagato.

La massa salariale prima del 1929, ossia nel boom liberista, ammontava a 42,4 miliardi di marchi. Durante il cancellierato Bruening scese a 32 miliardi (il Terzo Reich la fece risalire, nel 1937, a 48,5 miliardi).

Ovviamente, il drastico taglio dei salari non funzionò come sperava Bruening, anzi accelerò il tracollo. Come abbiamo visto, i prezzi delle merci erano determinati da fattori ben diversi che dalle paghe: dai costi incomprimibili, dal servizio del debito, dagli indebitamenti per comprare suoli sopravvalutati dalla bolla. Bruening avrebbe dovuto agire su quelli. Non lo fece.

I disoccupati salirono a 7 milioni: un terzo della forza-lavoro nazionale; a cui si dovettero aggiungere «i «disoccupati parziali», part time e precari, altri milioni non censiti.

«Lapparenza di prosperità economica degli anni Venti si rivelava ingannevole. Quando la crisi americana del 1929 e la poca fiducia nella stabilità economica e politica di Weimar spinsero (gli stranieri) a ritirare i crediti, leconomia tedesca collassò... La generazione giovanile si vide privata di possibilità professionali, economiche e sociali; era sradicata e si sentiva derubata dellavvenire». (Moeller). «La classe media (era) spazzata via: questa la situazione ad un anno dallapice dalla prosperità» (Heilig).

In quell’anno, il numero dei deputati nazisti al Reichstag passò da 8 a 107. Avevano votato per loro 13,4 milioni di tedeschi; il 60% erano persone che prima non avevano votato, astenendosi. Nel gennaio 1933, divenne cancelliere Adolf Hitler. E cominciò la ripresa, usando ricette contrarie a quelle del liberismo (1).

Oggi, i poteri forti – che hanno la memoria lunga – hanno agito d’anticipo, di fatto favorendo un colpo di Stato dall’alto in Italia, svuotando di senso le votazioni; hanno accelerato la creazione della giunta oligarchica a livello europeo, in modo – mentre cadono a picco tutti i dati dell’economia reale – da prevenire una deriva «populista» della volontà popolare, che scalzi il loro potere come avvenne «allora».




1) Bruening se ne andò in USA, dove fu accolto a braccia aperte dall’Università di Harvard. Vi restò come docente di politica liberista fino al 1951.

venerdì 21 dicembre 2012

A che gruppo appartiene Mario Monti

Buongiorno a tutti, andiamo verso le elezioni e probabilmente Mario Monti si candiderà. Mi chiedo una persona che lavora e ha un tenore di vita normale può dare il voto ad una persona così. Ha già dimostrato di avere a cuore gli interessi della élite che lo elegge. 
Potrà avere a cura i nostri una volta eletto?

Da Infowars di Alex Jones

Con l’annuncio a sorpresa della nomina del canadese Mark Carney a Governatore della Bank of England, Goldman Sachs completa il proprio dominio, virtualmente su tutte le principali economie europee.

La nomina di Carney è stata una sorpresa solo per coloro che si aspettavano che l’incarico fosse affidato a Paul Tucker, attuale Governatore deputato della Bank of England; ma non per noi, dato che già ad aprile scorso avevamo previsto che Carney sarebbe stato scelto per tale incarico.

Carney ha un curriculum di 13 anni passati in Goldmam Sachs e può vantare di aver preso parte alla crisi finanziaria russa del 1998, esasperata dalla Goldman Sachs che metteva in guardia la Russia mentre, contemporaneamente, giocava contro la capacità del Paese di ripagare il proprio debito.

La nomina di Carney giunge dopo 6 mesi dalla sua partecipazione alla riunione Bilderberg del 2012 a Chantilly – Virginia, USA – annuale ritiro riservato ad congrega di un centinaio dei più potenti ricconi al mondo che d’abitudine mostrano in tale occasione il loro potere regale.

Il Guardian riferisce che Carney è «decisamente sconosciuto fuori dai ristretti circoli dei banchieri centrali e dei regolatori finanziari, ed è per questo motivo che la sua nomina ha colto molti di sorpresa – Malcolm Barr della JP Morgan incluso – che consideravano Paul Tucker il sicuro vincitore».

Il fatto che Carney sia canadese è stata certo una sorpresa per molti, ma rimane comunque persona sottoposta alla Regina d’Inghilterra, che ne ha confermato l’incarico, dopo esserle stato raccomandato dal Primo Ministro David Cameron.

La presenza di Carney alla riunione Bilderberg di quest’anno lo ha senza dubbio aiutato ha raccogliere i favori dell’élite globalizzatrice e ad assicurargli la nomina a Governatore della Bank Of England, così come ha già aiutato altri luminari a salire ad alti incarichi.


È il caso di Herman Van Rompuy,scelto come Presidente dell’Unione Europea esattamente alcuni giorni dopo aver partecipato alla cena Bilderberg.

L’ascesa di Carney a capo della BoE è anche l’ultimo tassello del grande puzzle della scalata Goldman Sachs per il controllo virtuale di tutte le grandi economie del continente europeo.

Lo scorso anno, l’ex commissario europeo Mario Monti è stato scelto per rimpiazzare Silvio Berlusconi, il Primo Ministro italiano democraticamente eletto. Monti è consulente internazionale della Goldman Sachs, Presidente Europeo della Commissione Trilaterale – creatura di David Rockefeller – e membro emerito del Bilderberg Group.

Alessandro Sallusti , direttore del quotidiano italiano Il Giornale, commentava così: «Questa è proprio la banda di criminali che ci ha portato al disastro finanziario». (si trova agli arresti domiciliari)

Analogamente, quando il Primo Ministro greco George Papandreou ha osato suggerire che il popolo greco potesse esprimere il proprio parere tramite referendum, si è ritrovato sostituito in pochi giorni da Lucas Papademos, ex vice-Presidente BCE, visiting Professor ad Harvard, ed ex-economista senior alla Boston Federal Reserve.

Papademos dirigeva la Banca Centrale greca proprio mentre supervisionava all’affare sui derivati concluso dal governo greco con la Goldman Sachs, affare che ha permesso alla Grecia di nascondere la vera dimensione del proprio colossale debito, conducendo quindi all’attuale crisi europea del debito.

Papademos e Monti sono stati piazzati con lo status di capi non eletti proprio perché, in questo modo – come ha fatto notare Stephen Faris sul Time Magazine – non sono direttamente responsabili verso il popolo. Una volta di più ecco quali sono le fondamenta dittatoriali ed anti-democratiche dell’Unione Europea. (Poco dopo, anche Mario Draghi – ex vice Presidente Goldman Sachs International – veniva nominato Presidente della Banca Centrale Europea).

All’inizio del crollo finanziario 2008, il Segretario del tesoro USA era un tale Hank Paulson – ex CEO della Goldman Sachs. Quando Paulson fu rimpiazzato da Tim Geithner, venne nominato consigliere capo Mark Patterson, lobbista per Goldman Sachs. L’attuale CEO Goldman Sachs Lloyd Blankfein ha visitato la Casa Bianca almeno 10 volte. La Goldman Sachs è stata il maggior finanziatore della campagna elettorale di Obama nel 2008.

Zero Hedge – che ha anch’esso aveva ben previsto la nomina di Carney alla Bank Of England – fa osservare che: «È necessario comprendere una cosa soltanto: è Goldman Sachs che guida i giochi. Tutto il resto è secondario».

Come mostrato nell’immagine, le economie di Francia, Irlanda, Germania e Belgio sono anch’esse controllate da persone che hanno un legame diretto con la Goldman Sachs.



Il gigante bancario internazionale, noto per la sua corruzione e l’insider trading, esercita (ora più che mai) una massiccia influenza praticamente su tutte le principali economie occidentali del pianeta.

lunedì 17 dicembre 2012

Fantastico Articolo di Maurizio Blondet

No, non era Catilina. Ma noi...?
di Maurizio Blondet.

Chi ha detto che la storia, quando si ripete è in forma di farsa? Da noi, è l’opera dei pupi. Ecco gli ultimi eventi:

Napoleino ha lasciato l’Elba della sua indecisione; ha raggiunto le sue malconce truppe, acclamato dai suoi colonnelli fedelissimi («Metti in lista me, imperatore!»). Cominciano i Cento Giorni. Essenzialmente, per salvare se stesso da leggi e processi. Finirà in una qualche Waterloo. E poi, l’esilio definitivo. Non a Sant’Elena ma a Malindi, dove lo attende a braccia aperte Briatore col suo resort.

E pensare che ha ancora un elettorato, valutato attorno al 10%. Come l’amico Giovanelli, che ci crede ancora:

Lascerei perdere tutte le critiche che Blondet avanza contro Berlusconi,ipotizzando il fatto che egli abbia preferito essere defenestrato con la risibile accusa di indegnità morale, piuttosto che essere assassinato per aver tentato di salvare un popolo che allegramente ed inesorabilmente va alla rovina.


Qui, signori, occorre un breve corso di dottrina politica «for dummies». Vedo che c’è ancora poca coscienza della profondità della devastazione che il Napoleino ha portato al vasto elettorato di centro-destra, che è maggioranza del Paese.

È il fallimento totale di quella che, votandola, credevamo una classe dirigente, capace di assumersi le responsabilità, i compiti collettivi, lo stile di vita di una classe dirigente; e che una volta messa da noi al potere, s’è data al «tempo libero» puttanesco, all’arraffare, alle cene eleganti, alle feste con la testa di maiale, ai Trota e alle Brambilla. E questi, benché gravissimi, sono solo sintomi di una inferiorità intellettuale, culturale prima che morale – che significa, purtroppo, la bancarotta del Nord.

Il Nord non è stato capace di esprimere una classe dirigente.

Non ha saputo approfittare dell’occasione storica irripetibile. Non solo ha mostrato di non essere all’altezza di governare l’Italia, ma di non essere capace di governare se stesso.

È una disfatta che – non ve ne rendete conto? – sta già producendo i suoi effetti tragici: per esempio, con i suicidi in massa di piccoli imprenditori del Nord, perseguitati dal governo golpista, dalle sue tasse spogliatrici, senza alcun partito che li difenda, perché quello che hanno votato non c’è più, non riesce ad esistere senza il Cavaliere. Il quale ha tradito l’elettorato, Giovanelli.
Consegnando il potere a Monti, e sostenendolo fino a quando gli ha fatto comodo. Per non essere assassinato, dici? Ma va là. Per Mediaset, per i processi, per gli affaracci suoi. E se anche fosse, ebbene: chi vi entra, deve sapere che la politica comprende anche il rischio di assassinio. Perché la politica è cosa seria, non una seratina elegante con le olgettine; non è da gioppini e cretini perditempo.

Questa è pari ad una disfatta in guerra, e il territorio conquistato è il Nord: il Nord produttivo ma incapace di produrre dal suo seno dei veri dirigenti. Ora pagherà le spese di guerra, come uno Stato sconfitto e sotto occupazione, per decenni.

Dunque, prima nozione elementare di dottrina politica:

La politica è una cosa seriaMortalmente seria. Specie in Italia, l’assassinio dei capi che falliscono è ricorrente (Mussolini, Craxi), e l’epurazione dei seguaci fedeli è spietata (massacro dei fascisti sconfitti, triangolo del terrore in Emilia-Romagna...). Bisogna saperlo, e diventare seri.

E che dire dell’intervento di Franco PD? Scrive: 

Trovo francamente strano che sia così diffusa una valutazione dei FALSI errori di Berlusconi e si ignorino invece quelli VERI ed enormi, indugiando invece in scempiaggini di mutande al vento.

Ed io trovo un po’ offensivo, da uno che di politica in qualche modo capisce, che mi si attribuisca un intento moralistico, che sarei stato scandalizzato dalle mutande al vento. E mi insegna: «Ci si deve distinguere per onestà intellettualee il privato e il politico sono aspetti diversi».

Quante volte devo ripetere, fino a diventare rauco, che non ce l’ho con Berlusconi per quel che fa in privato a letto, ma appunto per aver portato quel suo privato nel politico? Non me ne frega che scopi delle donne a pagamento; ma comincia a fregarmene, come cittadino e contribuente, quando mette queste sue donne a pagamento in Parlamento, alla Regione, e nei ministeri. Le puttane se le paghi lui, che è ricco, non le metta a carico dei cittadini e dei contribuenti. Franco PD pensa sia un fatterello veniale; dopotutto, dice, la Carfagna sa leggere pulitina pulitina un testo che le è stato fornito... Prego? Mi pregio ricordare che la Carfagna è subito andata a letto con Bocchino (è tipico del mestiere, cercarsi un protettore) mentre già andava a letto con Mezza Roma (è il cognome del marito), minacciando di passare con il Fini. E la Brambilla? Ha voluto il Turismo, e si occupa di cani e gatti.

E questa sarebbe una «imprenditrice del Nord»? Capite o no perché mi incavolo? Quando si mettono al governo le ragazze che ti hanno fatto dei lavoretti, vuol dire che non vuoi fare niente di serio in politica. E dunque, che stai tradendo il mandato dei tuoi elettori. E non è tutto, c’è di peggio.

Dico: sei Berlusconi, sai che i giudici milanesi ti controllano stretto e vogliono distruggerti, e tu cosa fai? Dai a Ruby, una evidente puttanella professionale, il tuo numero di telefono cellulare!
Appena fermata per il furto di un computer ad una collega, la Ruby – sotto gli occhi esterrefatti dei funzionari della Questura di Milano – chiama il presidente per farsi salvare. E il presidente che fa?
Invece di cadere dalle nuvole e giurare «io quella non la conosco, non so come abbia avuto il mio telefonino», dice ai funzionari: rilasciatela, è la nipote di Mubarak. Una bugia da bambino di 5 anni. E dopo, fa peggio. Manda in Questura la tenutaria del suo casino, una che ha scritto in faccia il mestiere che fa, e che lui ha elevato a consigliera della Regione Lombardia, a prendere in consegna Ruby...

Non è l’immoralità che mi scandalizza, è la cretineria.

Lo chiedo a qualunque maschietto. Chi di voi, dopo essere andato con una puttana, le dà il numero di telefono privato e personale? Chi di voi è stato mai così imbecille da mettersi nelle mani di una troietta ed esporsi ad ovvii ricatti del tutto evitabili? E specie se siete una «persona importante», che dovete salvaguardare la vostra dignità personale ed aver riguardo di quelli che vi hanno eletto a guidarli, vi comportereste così? Ma già se siete una persona maritata, non dareste il cellulare a Ruby, per mantenere all’oscuro vostra moglie, per rispetto di voi e di lei. Se no, siete scemi. Scemi da ricovero, da interdizione dai pubblici uffici.

Da qui il secondo pilastro di dottrina politica:

In politica, la scemenza è peggio di un crimineAnzi, è il solo vero crimine.

Come qualcuno di voi saprà, è un detto di Talleyrand. Non saperlo, non tenerlo presente quando si entra in politica, dice il livello bassissimo, sul piano intellettuale e culturale prima che morale, del «grande imprenditore lombardo». Personalmente, del resto, non ho aspettato la fase delle olgettine e del burlesque. Mi son sentito tradito definitivamente, quando Berlusconi ha impedito la vendita di Alitalia all’Air France: invece di liberare lo Stato di quel catorcio in perdita, s’è messo a farneticare di patriottismo, ha speso 450 milioni di noi contribuenti per dotare la «cordata italiana» che ha preso Alitalia senza sborsare un euro, con i risultati che tutti oggi vedono: Alitalia è più catorcio che mai, la cordata (compari suoi) si sono arricchiti ma non l’hanno risanata. Questo ha rivelato, almeno a me, che Berlusconi non aveva più un progetto complessivo per il Paese; che era solo improvvisazione, approssimazione, superficialità – e scemenza. Da allora ho cominciato a scrivere che Berlusconi ha un problema psichiatrico. È la sola scusa che può invocare: seminfermità mentale.

Più articolata e profonda, e non poteva essere altrimenti, la critica di Copertino:

Caro Maurizio,

... Berlusconi non ha fallito perché  da ultimo  si è lasciato andare alla sua lussuria. Berlusconi è il rappresentante del vero e maggior responsabile della catastrofe antropologica da te ben descritta. Quel responsabile si chiama liberismo, ‘libero mercato. In nome del mercato tutto si mercifica,tutto si reifica, anche Dio e la Patria. La nostra epoca è ammalata proprio perché ha dato la centralità alla terza funzionequella economicaa discapito delle altre due, il sacro ed il politico. È il mercatodiventato centraleche ha prodotto il Grande Fratellole olgettine, i Flashmobil calcio fanaticoetc. Ed ha anche mercificato le funzioni pubbliche tradizionali… No, caro Maurizio, Berlusconi non era, non è mai stato,Catilina.


Con tutta la simpatia per la tua tesi, caro Luigi, non sono d’accordo. C’è forse troppo liberismo in Italia? Lo Stato che incamera e spende oltre il 50% della ricchezza prodotta dal Paese privato, dice che il nostro è l’ultimo Paese rimasto semi-socialista. Stato, Regioni, Provincie, ottomila Comuni divorano tutto. Berlusconi ha forse introdotto troppo «mercato»? Macché: ha mantenuto i monopòli statali, TV, Alitalia, eccetera. Sulle spese folli delle Regioni, non ha mosso un dito. Un governo «troppo liberista» non concederebbe le concessioni delle spiagge per 90 anni a concessionari già insediati, come ha tentato di fare Tremonti; metterebbe all’asta le concessioni a chi paga di più (2). Questo è statalismo, Luigi: statalismo coglione e losco, il che è peggio.

Il compito politico, in Italia, è nello stesso tempo contrastare il liberismo selvaggio finanziario estero, e lo statalismo degli amici e dei parassiti all’interno. Per questo è difficile, come ogni battaglia su due fronti.

Però ha completamente ragione nell’ultima frase:

… Nocaro MaurizioBerlusconi non eranon è mai statoCatilina.

La frase richiede una spiegazione per i lettori più giovani. Nel 1994 scrissi un piccolo saggio il cui titolo mi è praticamente costato la carriera nel giornalismo: «Elogio di Catilina e Berlusconi» (1). Poiché appena sceso in campo Berlusconi era stato mitragliato da 450 processi intentatigli dalla magistratura, dicevo che anche Catilina, a suo tempo (108 – 62 avanti Cristo) era stato demolito da falsi processi e false accuse sostenute da Cicerone, che era insieme capo del governo (console) e si prestò a fare da accusatore pubblico (piccolo conflitto d’interessi) contro Catilina, in cui i senatori vedevano un pericolo per i loro privilegi e lo status quo. Infatti Catilina, senatore di nobile stirpe lui stesso, aveva affermato che la repubblica romana soffriva di una grave crisi: la sua «legalità» era entrata in contrasto con la legittimità. Basti dire questo: tutti gli italici avevano ormai la cittadinanza, ma non potevano esercitare i diritti politici, perché per votare bisognava andare fisicamente a Roma: insomma erano state mantenute istituzioni da città-Stato, mentre ormai Roma era una nazione-Stato. Catilina si candidò al consolato, e riuscì a far venire a Roma molti suoi elettori da Fiesole; il Senato che fece? Rimandò entrambe le volte la data delle elezioni, sicché i fiesolani, che a Roma stavano sulle loro spese, dovettero presto tornarsene a casa. Sporchi trucchi. La classe sanatoria, latifondista e parassitaria, voleva mantenere le istituzioni così: siccome si votava solo a Roma, bastava qualche centinaio di romani, abitanti nella capitale, a decidere l’esito delle elezioni. Era facile corrompere quel qualche centinaio pagandolo; e si intimidivano gli altri elettori con bande di picchiatori e teppisti, visto che si doveva votare in piazza e pubblicamente. Catilina proponeva una riforma istituzionale coraggiosa e radicale, popolare; il Senato (per mezzo di Cicerone) lo accusò di colpo di Stato e lo soppresse dopo averlo costretto alla guerra civile.

Dicevo: ecco, lo stesso blocco sociale che non vuole cambiare nulla – dai giudici al PCI con i suoi media, al Quirinale, allora occupato da Scalfaro – si è avventato contro Berlusconi, perché ha paura che, sostenuto dal suo vasto elettorato, faccia riforme radicali di cui il Pese ha bisogno...

No, decisamente non era Catilina.

Ma forse che non sapevo chi era? Non vedevo forse che le sue TV erano cretine, trasformavano questo Paese in una enorme Cretinopoli, e manifestavano in lui una fondamentale bassezza?

Certo che lo sapevo. Ma a parte che gli individui egregi da noi sono molto scarsi dunque c’è poco da scegliere, ecco un altro fondamento da tener presente:

entro certi limiti, le qualità e doti personali – intelligenza, forza di carattere, visione ed audacia – della persona che scende in politica, contano meno di quelle che la massa pone in lei. Detto altrimenti:

Nellazione pubblicaun uomo non è mai efficace per le sue qualità individualima per lenergia sociale che le masse gli prestano,credendo in lui.

Berlusconi era riuscito in un miracolo che non era mai riuscito a nessun altro, in Italia: radunare attorno a sé una maggioranza stupefacente, e che travalicava gli steccati abitudinari del tran-tran politicista italiano. Sì, la parte preponderante di questa maggioranza era fatta forse di tifosi del Milan e di spettatori del gran varietà Mediaset. Ma va ricordato che gli operai del Nord gli hanno dato fiducia, abbandonando l’area di sinistra; e che aderirono a Forza Italia, allora, Lucio Colletti già intellettuale organico del PCI, Luciana Maiolo del Manifesto, Piero Melograni, già storico leninista, l’editore ex-trotzkista Giulio Savelli, il Giuliano Ferrara (comunista) non ancora neocon... Qualunque cosa si pensi di costoro, erano gente di qualità intellettuale molto superiore a Berlusconi, che evidentemente avevano risposto ad una grande speranza di cambiamento che lui sembrava incarnare; tanto da fare il salto «a destra», che nel loro ambiente non portava vantaggi e non è stato mai perdonato.

Voglio sottolineare che la rottura degli steccati, l’adunarsi di tante forze vitali ed energie sociali attorno ad un leader e al suo progetto politico, è un miracolo che non era mai avvenuto in Italia, né si ripeterà. Il motivo sta nella tragica patologia fondamentale della società italiana: l’insubordinazione permanente della moltitudine verso chi si propone di dirigerla. Un sospetto preventivo, sordido, invidioso contro qualunque personalità emergente abbia l’apparenza di volerla comandare, le toglie in via previa ogni energia sociale, e dunque ogni possibilità di concretizzare un programma. Questa patologia non si limita affatto al campo politico, ma ammala più profondamente la società: e spiega la desertificazione di individui superiori nell’arte, architettura, scienza, intellettualità, cultura, università; la mediocrità invincibile del livello culturale generale. Non che non nascano tra noi persone eccellenti: 250 mila giovani l’anno, almeno. Ma sono precisamente quei giovani che ogni anno se ne devono andare, accolti a braccia aperte all’estero, perché la società attuale non ha bisogno delle loro qualificazioni «troppo alte», non li vuole, ha fastidio di loro per l’istanza di migliorarsi, di imparare da chi sa di più, che essi pongono – come un tacito rimprovero – alla moltitudine.

Lasciarsi comandare da questi giovincelli? Non sia mai! Lo si è visto nel duello Renzi-Bersani. La società, cosciente o no, blocca positivamente l’ascesa di questi migliori ad ogni posizione di comando. Attenzione: non è rifiuto di obbedienza, è indocilità. Non sfugga la differenza: si obbedisce a un comando, si è docili a un esempio. Una società dove la gente è docile a personalità che sente esemplari, ossia impara da esse, tende a convivere coi migliori e, contemporaneamente, a vivere elevandosi, quanto può, al livello del modello. Ma la massa italiana, e segnatamente la sua semi-borghesia arricchita, non ammette nemmeno la possibilità che esistano modi di pensare superiori al suo, e che vi siano concittadini di rango intellettuale e morale superiore alla sua stolida esistenza.

Il risultato è che, rifiutato il comando dei migliori ed espulsi gli esemplari all’estero, una tale società si fa governare da furbi e loschi arrampicatori, Fiorito, Lombardo, Polverini, da «scienziati» come Veronesi, «scrittori» coma Saviano, «architetti» come Fuksas; e da «animali politici» semi-analfabeti come Bossi (3). O da Berlusconi.

Ma da Berlusconi si poteva sperare meglio. La forsennata, delirante, patologica ostilità sordida, preventiva e invidiosa che le sinistre, le corporazioni di parassiti (le Caste), il Quirinale gli tributavano, era già un indizio a suo favore: questi «sentono» che c’è un uomo capace di comando, che sa cosa fare, che cambierà lo status quo. La patologia italiota era tutta concentrata da quella parte. Il Quirinale fece trucchi sporchi per togliergli il potere che gli aveva dato l’elettorato, la Lega tradì; i magistrati e i giornali intelligenti ci elencavano tutte le sue loscaggini, i suoi conflitti d’interesse. L’elettorato così ben informato, conosceva il suo pelo sullo stomaco, e lo ha votato.

Il pelo sullo stomacoi pochi scrupolinon sono di per sé un fatto negativo in politica. Un giorno, se avrò tempo, vi racconterò le storie di Montesquieu: sbattuto più volte in galera per debiti o altri delitti, e più volte su denuncia di suo padre; grande seduttore di mogli altrui; bisognoso di attività irrefrenabile, mentitore, mani bucate, sensualità gigantesca, sentimenti grossolani, senza finezza perfino nel vestire (benché fosse un conte). Eppure, eletto all’Assemblea all’inizio della Rivoluzione Francese, questo mascalzone la domina con la sua oratoria, la soggioga con la sua presenza leonina alla tribuna, la seduce e convince ad un disegno che lui solo aveva con chiarezza: la monarchia costituzionale. Mirabeau, da solo, inventa le forme della vita pubblica nuova: il pluralismo parlamentare. Inventa le procedure, il linguaggio, lo stile della politica europea. Un genio. Tutt’altro che uomo ideale, è un archetipo del politico moderno (4). Farabutto, ma finché lui fu vivo (morì prematuramente), sbarrò il passo agli ideologi sciacalli alla Robespierre, ai giacobini e al Terrore: «Non ho mai adottato la loro metafisica, né i loro crimini inutili», disse.

Non sfuggirà una certa somiglianza caratteriale con Berlusconi. Tutto gli avrebbe perdonato il suo elettorato, tutte le sue olgettine e tutti gli affaracci a favore di Mediaset, se solo avesse attuato anche il programma! Io l’ho sentito da lui, chiaro e limpido il programma, nei discorsi che fece nella prima fase: qualcuno glieli scriveva d’accordo, ma almeno lui li leggeva. Oggi probabilmente se li scrive lui, e si vede: una ristrettezza mentale, una monomania, una mancanza di visione, che fa impressione. Aveva gli operai del Nord, aveva gli intellettuali di sinistra e di destra, aveva il Nord e la Sicilia; aveva la legittimità. Poteva fare letteralmente tutto. Chiunque al suo posto sarebbe stato capace di cogliere il momento, approfittare di tanta sorte; sentire il compito, la responsabilità che tanto favore della gente gli metteva nelle mani.

Mediocre? Ma una tale energia sociale attorno a lui era lì per alzarlo di livello, per migliorarlo, per insegnargli le cose che lui non sapeva ancora. Poteva circondarsi dei migliori di lui, come fa chi ha un grande progetto da realizzare, metterli a capo dei suoi media: che so, Marcello Veneziani, Cardini, financo la Maiolo. Ha finito per preferire Emilio Fede, i Briatore, i Dell’Utri, i Ghedini... e alla fine passare le serate con Lele Mora. Lui stesso s’è rivelato l’apice della patologia sociale italiana: la resistenza anormale a farsi influenzare dagli esempi superiori. Come il borghesotto italiano che non ammette la possibilità che esistano intelligenti più di lui, modi di essere e pensare superiori – e proprio per questo, come ha notato De Rita, ha mancato al suo compito di farsi classe dirigente, pensando per ignoranza invincibile ne bastassero i segni esteriori, le BMW, gli Armani e i Rolex.

Berlusconi ha annullato una gigantesca volontà di futuro che s’era manifestata a coagulata miracolosamente attorno a lui. Non ci sarà più. Adesso, 40 anni di «usato sicuro».





1) Su Catilina, per brevità riporto quello che dice Wikipedia (la voce dev’essere stata compilata da un competente): «Nell’orazione Pro Murena del 63 avanti Cristo Cicerone contesterà a Catilina un’affermazione che ne rivela il progetto politico: ‘La Repubblica ha due corpi: uno fragile, con una testa malferma; l’altro vigoroso, ma senza testa affatto; non gli mancherà, finché vivo’. Nell’analisi politica di Catilina la Repubblica romana vive una separazione gravissima della società dalle istituzioni. Il corpo fragile rappresenta il corpo elettorale romano, spaccato in cricche, clientele e bande (nell’88 avanti Cristo tutti gli italici avevano avuto la cittadinanza romana, ma per votare occorrevano tempo e risorse per recarsi a Roma, da qui la degenerazione clientelare); la testa malferma rappresentava invece il Senato, abituato al potere ereditario, colluso con i grandi proprietari terrieri, l’ottusa classe del patriziato. Il corpo vigoroso ma senza testa simboleggiava la massa di contribuenti, tartassati e umiliati dal disordine politico, senza vera rappresentanza politica, per la quale Catilina si propone come ‘testa’ pensante, al tempo stesso rendendosi conto della pericolosità dell’andare contro l’oligarchia dominante».
2) A dire il vero anche il nuovo governo Monti, presunto tecnocratico e liberista, ha fatto lo stesso, solo riducendo la concessione sulle spiagge a 30 anni, ma lasciandole senza concorso a quelli che già le avevano: una rendita a favoriti, mica il «mercato». Come cittadino, mi dico: possibile che la lobby dei tenutari di sdraio e ombrelloni sia così potente presso i politici? Li paga? Oppure sono i politici così deboli, mentalmente e di carattere, da non resistere ad alcuna lobby?
3) Alla Lega aderì addirittura Gianfranco Miglio, il massimo politologo italiano, come si sa. Più una serqua di intellettuali e giornalisti intelligenti, di cui mi viene a mente l’architetto Gilberto Oneto (altri sono defunti, i più allontanati). Ma Bossi rigettò Miglio, che non faceva altro che mettersi al suo servizio, come ogni mediocre aveva paura che «gli facesse le scarpe». E come analista politico, s’è sempre fidato di più del suo autista. Per forza doveva finire nel tentativo di elevare il Trota ad erede della Lega.
4Un uomo «ideale», un politico «ideale», è come il moralismo corrente crede che «deve essere». Un archetipo, è la cosa nella sua ineluttabile realtà. Mirabeau fu l’archetipo del politico. Il suo progetto intendeva rispondere alla domanda: come organizzare lo Stato in modo che le energie vitali della nazione non vengano impastoiate, ma liberate per la prosperità e la grandezza della Francia nel mondo? Ovviamente, «non riteneva di avere il diritto di ritardare la sua azione pubblica per darsi il piacere di preservare la sua onestà privata». Se c’era da corrompere, corrompeva; e avendo continuamente bisogno di denaro, non si poneva grandi scrupoli su chi glielo dava. Inutile dire che un Mirabeau non potrebbe farsi eleggere dai grillini, in quanto là conta la fedina penale pulita... Le loro piccole menti pulite cercano l’esangue, immaginario politico come «deve essere», non il potente archetipo del politico com’è.

sabato 15 dicembre 2012

Il Povero Bersani e la povera Italia.


Gli sembrava di essere Occhetto nel ’94. Aveva tutta la macchina da guerra schierata con le elezioni già vinte con il 35% dei consensi.
Un pilastro fondamentale del programma : Schiavismo agli eurocrati e alle regole di Mario Monti. Cosa gli combinano i grandi poteri europei ai quali si è prostrato e di cui è schiavo? Gli candidano contro Monti.
Quindi, a dimostrazione della sua megalomania travestita da sobrietà, si trasforma da tecnico a politico.
Adesso è a capo di quella accozzaglia che Berlusconi chiama moderati.
Si è creato il paradosso dello schiavo che sfida il padrone. Bersani non può andare contro Monti, non può fare campagna elettorale contro Monti.
Lo ha  servito all’inverosimile, ha votato tutte le riforme depressive e le macellerie sociali della Fornero.
Ha seguito da bravo scolaretto tutte le indicazioni di Merkel e Commissione Europea;
E adesso, si ritrova contro Monti senza un programma alternativo.
Ha lo stesso programma.
Adesso deve inventare qualcosa che attiri elettorato e rassicuri i poteri europei. Il povero Bersani si ritrova cornuto e mazziato.
Dopo aver osannato i banchieri, i tedeschi e i francesi e aver promesso di essere fedele al debito e alle politiche depressive, lo ripagano in questo modo! Sono veramente ingrati.
La dittatura Europea ha dato gli ordini di voto.
Ora lo schema si è ricompattato e tutti i partiti sono di nuovo d’accordo. Per dirla alla Beppe Grillo si sono riformati il PDL e il PD meno elle.
Il PDL  sembra un partito spezzatino con tutti i pezzi tenuti dalla pentola Monti. Ieri sera a L’Ultimaparola da Gianluigi Paragone, Beatrice Lorenzin ha detto che Monti ha il 50% di probabilità di essere candidato e Berlusconi il 30%. Un megalomane come Berlusconi può accettare di essere il secondo? Non esiste! Qualcuno gli ha fatto abbassare la testa.
Tutti i resti del PDL sono per il Professore con la speranza di essere ricandidati e fare parte dello spezzatino al punto precedente. Anche Comunione e Liberazione con Mauro si è ricompattata intorno a Monti e si è messa dentro la pentola.
Ora siamo liberi di votare! In qualsiasi punto della scheda facciamo il segno votiamo sempre per Mario Monti che lo avremo presidente per sempre. 
L’ultima speranza è votare per il Movimento 5 Stelle. 
Potrebbe essere pericoloso e hanno già cominciato a triturarlo con gli scontri interni.
Il disegno Europeista Franco/Tedesco è compiuto. L’Italia è ridotta a una colonia con due grandi formazioni che non contano nulla e un candidato unico mandato dall’Europa a fare il commissario liquidatore e a eseguire i diktat della Commissione Europea e della Troika. Di elezioni vere nemmeno l’ombra, parliamo solo di cooptazioni.
Vorrei in breve ricordare le imprese titaniche compiute in un anno dal governo Monti : 
In un solo anno, Monti ha aumentato il debito pubblico: da 1.850 miliardi a oltre 2 mila miliardi. E questo è successo dopo tasse, tagli e macelleria sociale da record mondiale. Ci sono piccole imprese (Vi posso portare tutti gli esempi che volete) che, con l’effetto irap, pagano anche il 150% di tasse e le pagano anche se chiudono i bilanci in perdita. Concludendo, possiamo dire che il debito pubblico, con Monti, è cresciuto a ritmo molto più sostenuto di quanto faceva con Berlusconi.
All’università mi hanno insegnato che il debito pubblico è sostenibile quando cresce meno del PIL. Monti ha strangolato tutta la parte produttiva della nazione e ci ha portato in una depressione modello crisi del ’29. Ha ammazzato di tasse chi lavora e produce, ha fatto chiudere migliaia di imprese ritardando i pagamenti del settore pubblico, facendoli perseguitare da Befera, facendo annullare la concessione del credito da parte delle banche e pretendendo tasse anche da chi ha i bilanci in perdita. La filosofia spicciola, dice che se ho un credito, devo mettere il debitore in grado di pagare il debito ; quindi devo metterlo in condizioni di lavorare bene in modo che il suo debito diventi sostenibile. Questa affermazione non vale per il banchiere, il quale vuole strozzare il debitore, non vuole che paghi il debito. Se il debitore paga il debito, non può andare a "prendergli" tutto quello che ha fatto in una vita di lavoro.
Abbiamo disoccupati a livelli record con una vertiginosa caduta del PIL. Se i tedeschi ci dichiaravano guerra facevano meno danni di Monti.
Per quanto riguarda le grandi riforme del settore pubblico, facciamo una breve lista della spesa.
  • Accorpamento dei comuni. MAI FATTO
  • Abolizione delle provincie. MAI FATTO
  • Riduzione degli stipendi dei dirigenti pubblici come Manganelli. MAI FATTO
  • Riforma del Quirinale che costa 5 volte la Corona Inglese. MAI FATTO
  • Riforma delle Le Regioni (quelle sono da abolire, non le provincie) che continuano a spandere a più non posso. MAI FATTO.
  • Taglio del numero dei parlamentari. MAI FATTO.
  • Riforma legge elettorale. MAI FATTO.Voteremo ancora col Porcellum e le liste saranno fatte dai capi-partito.
In poche parole CHE C…. HA FATTO IL GOVERNO MONTI ? Ha solo distrutto senza costruire nulla di positivo per il popolo italiano. Dimenticavo una cosa molto impostante fatta dal governo Monti. Valanghe di annunci seguiti da nulla. In questo ha nettamente battuto anche Berlusconi.
Infatti, gran parte degli italiani crede davvero che le cose sopra dette siano state realizzate; anche perché i giornalisti servi e pagati con i nostri soldi dalle sovvenzioni pubbliche hanno scritto e soprattutto detto in televisione valanghe di c….. a cui tanti purtroppo ancora credono.
Abbiamo una pletora di ignoranti come Casini. L’altro giorno in occasione della ennesima discesa di Berlusconi,  ha affermato che lo spread influenza le rate dei mutui.
Volevo buttare la televisione fuori dalla finestra. Casini è un ignorante, ma lo stronzo vero è il giornalista che pubblica una cazzata (stavolta lo scrivo per esteso) del genere. Chi non capisce nulla di economia ma ha un mutuo da pagare, è convinto che gli si alzi la rata, quando i mutui sono indicizzati all’Euribor che è quasi al minimo storico.
Questa mia affermazione  non è del tutto pazza visto che il Prof. Claudio Borghi ha detto la stessa cosa l’altra mattina a Omnibus su LA7 al Senatore Montezemoliano Rossi.
Monti è un incapace? No tutto ciò è fortemente voluto. Anche un misero laureato in economia come me capisce che la distruzione del settore privato porta alla miseria.
Monti vuole salvare l’euro. Non vuole salvare l’Italia, ma: de-industrializzarla. 
Alcuni nostri simboli nel mondo come Lamborghini e Ducati sono già stati venduti (o svenduti?) ai tedeschi. La Fiat è ridotta a una filiale della Chrysler.
Facendo così, Monti ci toglie l’unica possibilità che ci è rimasta : Ripudiare il debito in quanto illegittimo per la grande parte. Inoltre tale debito è pressoché impagabile e va per forza ristrutturato. Facendo questo però ritorneremmo competitivi con le nostre industrie e questo non va bene ai francesi e soprattutto ai tedeschi, che le nostre industrie le vogliono acquistare a prezzi di saldo.
Monti completerà l’opera succhiando i 9000 miliardi di ricchezza privata e ci manderà tutti a frugare nella spazzatura naturalmente con il sostegno di giornali e televisioni.
Buon Natale a Tutti!!