domenica 17 febbraio 2019

Una Valutazione Intelligente sulla TAV fatta dal mio amico Mitt Dolcino. Il resto sono solo balle.

Spiace sentire Borghi (Lega) difendere a tutti i costi la TAV nonostante il referenziato rapporto Ponti. E poi qualcuno spera ancora che l’Italia si salvi…

Ho apprezzato Borghi in diverse occasioni. Più per il suo approccio che per il suo tecnicismo economico, a dire la verità. Questa sera in un confronto su Rai2 (“Povera patria”, bel titolo) l’ho sentito difendere strenuamente la TAV. Onestamente mi è spiaciuto. Immagino che il Borghi debba difendere un ordine di scuderia della Lega, che vuole la TAV a tutti i costi (spero che questo non derivi dal voler difendere a tutti i costi il business dell’ex ministro Lunardi, la cui Rocksoil è uno dei principali contractor dell’opera della Valsusa).
La cosa che più mi sconcerta è che gli stessi argomenti accampati da Borghi questa sera siano più o meno gli stessi accampati oggi in un intervento su scenarieconomici.it, dove ho scritto per molti anni (purtroppo per Borghi, è stato letteralmente frantumato dal super esperto, professor Conti, che insegna a fare le valutazioni di cui alla TAV imparate alla Banca Mondiale, ossia usando IL METODO di prassi utilizzato in tutto il mondo per questo tipo di valutazioni, ndr). In breve, le motivazioni per cui si dovrebbe proseguire con la TAV erano secondo Borghi che così facendo i soldi ri-entrano in circolo e quindi fanno moltiplicatore (…).
Un tale approccio è riduttivo e forviante, senza andare oltre (…). Infatti bisogna spiegarla tutta la storia, caro Borghi.
Come cambiano le cose quando si va al governo! (Trump insegna che la coerenza paga….)
Prima di tutto le boundary conditions (sono ingegnere, mi piace sottolinearlo): il concetto keynesiano di moltiplicatore associato alle grandi opere, di cui alla teoria di Keynes, presupponeva di essere in un contesto di valute sovrane (ad es. sterlina o dollaro) stampabili teoricamente all’infinito. Visto che sia i gialli che i verdi – per loro stessa ammissione – NON vogliono uscire dall’euro (loro dicono così, non io, dunque tale deve essere l’IPOTESI di lavoro, a cui seguirà la TESI), oggi (TESI) fare lavori “assurdi” ossia senza ritorno economico come la TAV con una valuta straniera (l’euro) significa allocare nel modo peggiore possibile una risorsa scarsa e non una risorsa che – come nel caso della sterlina di Keynes o del dollaro successivo – si poteva stampare all’occorrenza e teoricamente all’infinito. Dunque, per tale ragione, anche in relazione ai vincoli di bilancio EU che hanno portato il governo a ridurre il deficit dal 2,4% al 2,04% (…), nel contesto specifico oggi è necessario selezionare opere che abbiano un ritorno oltre che un senso economico compiuto. Ad esempio evitando opere la cui gestione successiva possa essere in perdita (come è il caso reale del gemello della TAV tra Francia e Spagna, ndr).
Se poi vogliamo restare al mero moltiplicatore come primario riferimento per scegliere un’opera, prima della TAV bisognerebbe rifare un numero sproporzionato di cavalcavia stradali italiani, che farebbero moltiplicatori decisamente più grandi di un solo grande buco nella montagna!
Ossia per l’Italia oggi decidere forzatamente di fare la TAV (dentro l’EU e dentro l’euro) significa dover poi chiedere ai cittadini di contribuire a sovvenzionare il progetto con le loro tasse….

L’altra considerazione che va fatta – e non bisogna essere necessariamente limitati come troppi economisti che si sono succeduti nei pressi di palazzo Chigi per arrivarci – è che Keynes era inglese e dunque quando elaborava le sue teorie faceva riferimento non ad una valuta qualsiasi, ma ALLA VALUTA di riferimento globale (sterlina o dollaro). Tradotto, avendo una valuta “non dominus” fa cambiare leggermente le valutazioni rispetto alla teoria generale di Keynes, sebbene senza far crollare l’assioma come invece nel caso precedente (…).
Dunque, nel caso italiano attuale, ossia restando nell’euro come il governo sostiene di voler fare, il ragionamento di Borghi di cui sopra è – sorry – una emerita stupidaggine.
Onestamente faccio fatica a comprendere come sia possibile che una persona come il Borghi possa continuare ripetere tale litania fino allo spasimo.  Posso capirla solo inserendo nel contesto l’aspetto politico, ossia che Borghi – che non ritengo stupido, anzi – stia difendendo una linea di partito fatta in larga parte da competenze istituzionali mutuate da ex sindaci delle valli bergamasche, bresciane, venete o affini (…).
Lo rispetto per questo.
Ma resta il nostro dovere civico di rimarcare come oggi, in un momento di crisi mortale per la Penisola, non sia possibile sprecare nemmeno un euro di risorse in progetti costosi, senza ritorno e relativamente inutili soprattutto se messi in relazione con altri potenziali progetti.
Che sia chiaro: qui nessuno è contrario alla TAV di per se, i cittadini sono invece contrari allo sperpero inutile di denari pubblici. E per decidere quali progetti mandare avanti bisogna fare tutti i numerelli, ossia usare un metodo riconosciuto proprio come si è fatto con la relazione del prof. Ponti. Il mondo gira così caro Borghi; anche l’EUropa, che guarda caso non accenna a criticare il metodo di valutazione –   e come potrebbe! -, perchè è lo stesso usato dalla banca mondiale per progetti simili, ndr. Nella fattispecie tutti noi auspichiamo che le risorse budgettate per la TAV vengano riallocate su progetti a maggior moltiplicatore (ed a maggior ritorno oltre che senso). Consiglierei per altro che tali progetti possano inserirsi in una strategia di filiera atta a costruire non solo le infrastrutture ma anche di fare seeding per le imprese che dovranno approntare le infrastrutture future. Ad esempio, se si volesse superare i trasporto su gomma e prediligere quello su treno, facendo in modo che nascano aziende italiane specializzate nella costruzione delle infrastrutture che poi saranno utilizzate dall’Italia nell’ambito di tale strategia, senza doverle comprare dall’estero. In tale contesto la TAV potrebbe in futuro diventare un progetto ragionevole in quanto la strategia di filiera migliorerebbe il rapporto costi/benefici.
Sinceramente mi fa specie che si debba essere noi dall’esterno a suggerire queste ovvietà.
Mi sovviene ad esempio l’opportunità del quadruplicamento della linea tra Svizzera ed Italia, tra Lugano e Milano, che è causa di colli di bottiglia e costanti ritardi oltre che comportare un tempo di percorrenza superiore ai 75 minuti per un ridotto tratto ferroviario: che si faccia un’analisi del rapporto costi/benefici di tale progetto di ampliamento e nel caso si riversino lì parte delle risorse della TAV; tale scelta per altro contribuirebbe a facilitare il collegamento dell’Italia non con un’area relativamente poco interessante per gli interessi italiani come il lato francese delle Alpi per l’Italia, orientandosi invece dove sarà il vero cuore pulsante dell’economia europea dei prossimi decenni, il centro-est Europa.
Mitt Dolcino

lunedì 11 febbraio 2019

Sentenza interessante della Suprema Corte che apre uno spiraglio importante alle richieste di risarcimento agli intermediari finanziari

Con la sentenza 27442 del 30/10/2018 la Suprema Corte ha portato una importante precisazione riguardo la determinazione dell’usura nei contratti finanziari, nella fattispecie un contratto di leasing, Nel giudizio di primo grado, per quanto riguarda un contratto di leasing, una società aveva richiestola gratuità del contratto a fronte della previsione di un tasso di mora pattuito superiore al tasso soglia usura.
I legali della società hanno sostenuto la rilevanza del tasso di mora ai fini della verifica dell'usura e hanno chiesto l'applicazione delle disposizioni dell'art. 1815 c.c. anche agli interessi corrispettivi.
Il resistente affermava la non applicabilità dell'art. 644 c.p. agli interessi moratori.
Con sentenza di primo grado il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda, ritenendo l'art. 644 c.p. inapplicabile nel caso specifico in cui gli interessi moratori superavano il tasso soglia usura.
In appello, il ricorso della società è stato rigettato con le seguenti motivazioni:
    1) gli interessi corrispettivi e quelli moratori non sono omogenei, poiché:
A) i primi remunerano un capitale preso a prestito mentre i secondi rappresentano una sanzione al fine di dissuadere il debitore dall’inadempimento;
B) i primi sono necessari, i secondi eventuali;
C) i primi hanno una finalità di lucro, i secondi di risarcimento;
2) nessuna norma di legge stabilisce la nullità degli interessi moratori eccedenti il tasso soglia;
3) a rafforzare questo principio è lo stesse Ministero del Tesoro che nelle rilevazioni periodiche non rileva gli interessi moratori;
4) In questo caso, sarebbe irrazionale ritenere usurari interessi moratori al saggio dell’8,6%, mentre nello stesso periodo, il tasso di mora delle transazioni commerciali è al 9,25%.
Vediamo ora invece cosa ha stabilito la Cassazione:
Nella sentenza in oggetto, la Cassazione afferma la assoggettabilità degli interessi di mora alla disciplina dell'usura ex art. 644 c.p., motivando il proprio dissenso dagli argomenti presenti nella sentenza della Corte d'Appello.
La Suprema Corte, inoltre, ha rigettato la tesi secondo cui la verifica dovrebbe essere condotta considerando per la soglia d'usura la maggiorazione media del 2,1% sostenuta in varie istruzioni e circolari della Banca d'Italia.
La Cassazione ha affermato, al di fuori del tema di decisione della sentenza, che agli interessi moratori non si applica l’art. 1815 c.c. II comma, in quanto la normativa è specificatamente riferita ai soli interessi corrispettivi. Nel caso degli interessi moratori si deve prevedere l’applicazione del tasso legale.
In questo si rileva contrasto con la precedente sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 24675 del 19.10.2017, che aveva riferito il concetto di interesse usurario alla sola definizione contenuta nell'art. 644 c.p. (Tale articolo non distingue interesse corrispettivo e interesse moratorio), Inoltre aveva rilevato che l'art. 1815 c.c. presuppone "una nozione di interessi usurari definita altrove", ovvero nell'art. 644 c.p.
Prosegue quindi sostenendo che la legge 108/96 (Legge sull’usura) non fa nessuna distinzione tra interessi moratori e corrispettivi; Conclude quindi affermando che sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori, sono usurari se superano il tasso soglia;
Afferma inoltre che tale interpretazione sarebbe imposta dall’esigenza di prevenzione dei fenomeni usurari.
Il ricorrente afferma che nel caso di pattuizione contrattuale di interessi moratori usurari, la disciplina da applicare è quella ai sensi dell’art. 1815 c.c., secondo cui se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
Perché tale motivo è fondato ?
Perché anche gli interessi di mora, se vengono pattuiti ad un tasso eccedente la soglia, vanno definiti ipso iure usurari.
Tale principio è già stato innumerevoli volte affermato sia dalla Suprema Corte in sede civile e penale, sia dalla Corte costituzionale.
L’articolo 2 della legge 108/96 vieta di pattuire interessi eccedenti la soglia usura.
Questa norma s’applica agli interessi promessi a qualsiasi titolo:
Corrispettivo, cioé per remunerare un capitale o dilazionare un pagamento (Art. 1282 c.c.)
Moratorio, cioè dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori: art. 1224 c.c.).
Si può quindi concludere che, nessuna norma che vieta la pattuizione di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi usurari.
Sia gli interessi convenzionali che i moratori non possono essere in contrasto con la legge 108/96. La ragione di tale legge era di introdurre un criterio oggettivo tendente sia alla tutela delle vittime dell’usura sia dell’interesse pubblico teso al corretto svolgimento delle attività economiche.
Escludere pertanto, dall’applicazione di quella legge il patto di interessi convenzionali moratori sarebbe irrispettoso e non coerente con lo scopo che si prefigge il legislatore e potrebbe condurre al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento.
Infine, in totale paradosso, potrebbe favorire pratiche fraudolente come la decisione di stabilire cortissimi termini di adempimento al fine di lucrare interessi non soggetti ad alcuna soglia stabilita per legge.
Se vogliamo fare un excursus storico della disciplina degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori, possiamo scoprire alcune cose interessanti:
La prima è che gli interessi moratori nacquero per compensare il creditore dal rendimento del capitale non restituito. Lo scopo era quindi di riprodurre la remunerazione del capitale tramite un risarcimento. Quindi l’affermazione che le due categorie di interessi siano funzionalmente differenti non è assolutamente vera;
La seconda è che l’opinione secondo cui gli interessi moratori avrebbero una funzione diversa da quelli corrispettivi non aveva lo scopo di togliere gli interessi moratori dai regolamenti delle legge sull’usura, ma aveva lo scopo di aggirare il divieto canonistico di pattuire interessi tout court;
La terza notizia interessante è che la presenza nel nostro codice civile di due differenti discipline riguardanti gli interessi moratori (art. 1224 c.c.) e gli interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.) è solo un retaggio dell’unificazione del codice civile e di quello di commercio, che avevano risolto in termini diversi il problema della decorrenza degli effetti della mora.
La separazione tra le due categorie di interessi non solo è dunque un falso storico, ma nacque per fini non più attuali.
Tale effimera distinzione degli interessi in base alla funzione non giustifica affatto la pretesa di far sfuggire gli interessi moratori alla applicazione della legge 108/96.
Quindi Il primo motivo di ricorso è stato accolto dalla Suprema Corte e la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d‘Appello di Milano, la quale nel riesaminare il tutto applicherà il seguente principio di diritto:
E’ nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della legge 108/96, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali
Il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia riferitoa quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 l. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia.
Nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi. In presenza di interessi moratori usurari, al danneggiato vanno attribuiti gli interessi legali.