Con
la sentenza 27442 del 30/10/2018 la Suprema Corte ha portato una
importante precisazione riguardo la determinazione dell’usura nei
contratti finanziari, nella fattispecie un contratto di leasing, Nel
giudizio di primo grado, per quanto riguarda un contratto di leasing,
una società aveva richiestola gratuità del contratto a fronte della
previsione di un tasso di mora pattuito superiore al tasso soglia
usura.
I
legali della società hanno sostenuto la rilevanza del tasso di
mora ai fini della verifica dell'usura e hanno chiesto
l'applicazione delle disposizioni dell'art. 1815 c.c. anche agli
interessi corrispettivi.
Il
resistente affermava la non applicabilità dell'art. 644 c.p. agli
interessi moratori.
Con
sentenza di primo grado il Tribunale di Milano aveva rigettato la
domanda, ritenendo l'art. 644 c.p. inapplicabile nel caso
specifico in cui gli interessi moratori superavano il tasso
soglia usura.
In appello, il
ricorso della società è stato rigettato con le seguenti
motivazioni:
1)
gli interessi corrispettivi e quelli moratori non sono omogenei,
poiché:
A)
i primi remunerano un capitale preso a prestito mentre i secondi
rappresentano una sanzione al fine di dissuadere il debitore
dall’inadempimento;
B)
i primi sono necessari, i secondi eventuali;
C)
i primi hanno una finalità di lucro, i secondi di risarcimento;
2)
nessuna norma di legge stabilisce la nullità degli interessi
moratori eccedenti il tasso soglia;
3)
a rafforzare questo principio è lo stesse Ministero del Tesoro che
nelle rilevazioni periodiche non rileva gli interessi moratori;
4)
In questo caso, sarebbe irrazionale ritenere usurari interessi
moratori al saggio dell’8,6%, mentre nello stesso periodo, il tasso
di mora delle transazioni commerciali è al 9,25%.
Vediamo
ora invece cosa ha stabilito la Cassazione:
Nella
sentenza in oggetto, la Cassazione afferma la assoggettabilità
degli interessi di mora alla disciplina dell'usura ex art. 644
c.p., motivando il proprio dissenso dagli argomenti presenti
nella sentenza della Corte d'Appello.
La
Suprema Corte, inoltre, ha rigettato la tesi secondo cui la verifica
dovrebbe essere condotta considerando per la soglia d'usura la
maggiorazione media del 2,1% sostenuta in varie istruzioni e
circolari della Banca d'Italia.
La
Cassazione ha affermato, al di fuori del tema di decisione della
sentenza, che agli interessi moratori non si applica l’art. 1815
c.c. II comma, in quanto la normativa è specificatamente riferita ai
soli interessi corrispettivi. Nel caso degli interessi moratori si
deve prevedere l’applicazione del tasso legale.
In
questo si rileva contrasto con la precedente sentenza delle Sezioni
Unite Civili n. 24675 del 19.10.2017, che aveva riferito il concetto
di interesse usurario alla sola definizione contenuta nell'art. 644
c.p. (Tale articolo non distingue interesse corrispettivo
e interesse moratorio), Inoltre aveva rilevato che l'art.
1815 c.c. presuppone "una nozione di interessi usurari definita
altrove", ovvero nell'art. 644 c.p.
Prosegue
quindi sostenendo che la legge 108/96 (Legge sull’usura) non fa
nessuna distinzione tra interessi moratori e corrispettivi;
Conclude quindi affermando che sia gli interessi corrispettivi che
quelli moratori, sono usurari se superano il tasso soglia;
Afferma
inoltre che tale interpretazione sarebbe imposta dall’esigenza di
prevenzione dei fenomeni usurari.
Il
ricorrente afferma che nel caso di pattuizione contrattuale di
interessi moratori usurari, la disciplina da applicare è quella ai
sensi dell’art. 1815 c.c., secondo cui se
sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono
dovuti interessi”.
Perché
tale motivo è fondato ?
Perché
anche gli
interessi di mora, se vengono pattuiti ad un tasso eccedente la
soglia, vanno definiti ipso
iure usurari.
Tale
principio è già stato innumerevoli volte affermato sia dalla
Suprema Corte in sede civile e penale, sia dalla Corte
costituzionale.
L’articolo
2 della legge 108/96 vieta di pattuire interessi eccedenti la soglia
usura.
Questa
norma s’applica agli interessi promessi a qualsiasi titolo:
Corrispettivo,
cioé per remunerare un capitale o dilazionare un pagamento (Art.
1282 c.c.)
Moratorio,
cioè dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi
moratori: art. 1224 c.c.).
Si
può quindi concludere che, nessuna norma che vieta la pattuizione
di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi
usurari.
Sia
gli interessi convenzionali che i moratori non possono essere in
contrasto con la legge 108/96. La ragione di tale legge era di
introdurre un criterio oggettivo tendente sia alla tutela delle
vittime dell’usura sia dell’interesse pubblico teso al corretto
svolgimento delle attività economiche.
Escludere
pertanto, dall’applicazione di quella legge il patto di interessi
convenzionali moratori sarebbe irrispettoso e non coerente con lo
scopo che si prefigge il legislatore e potrebbe condurre al risultato
paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso
l’inadempimento che l’adempimento.
Infine,
in totale paradosso, potrebbe favorire pratiche fraudolente come la
decisione di stabilire cortissimi termini di adempimento al fine di
lucrare interessi non soggetti ad alcuna soglia stabilita per legge.
Se
vogliamo fare un excursus storico della disciplina degli interessi
corrispettivi e degli interessi moratori, possiamo scoprire alcune
cose interessanti:
La
prima è che gli interessi moratori nacquero per compensare il
creditore dal rendimento del capitale non restituito. Lo scopo era
quindi di riprodurre la remunerazione del capitale tramite un
risarcimento. Quindi l’affermazione che le due categorie di
interessi siano funzionalmente differenti non è assolutamente vera;
La
seconda è che l’opinione secondo cui gli interessi moratori
avrebbero una funzione diversa da quelli corrispettivi non
aveva lo scopo di togliere gli interessi moratori dai regolamenti
delle legge sull’usura,
ma
aveva lo scopo di aggirare
il divieto canonistico di pattuire interessi tout
court;
La
terza notizia interessante è che la presenza nel nostro codice
civile di due differenti discipline riguardanti gli interessi
moratori (art. 1224 c.c.) e gli interessi corrispettivi (art. 1282
c.c.) è solo un retaggio dell’unificazione del codice civile e di
quello di commercio, che avevano risolto in termini diversi il
problema della decorrenza degli effetti della mora.
La
separazione tra le due categorie di interessi non solo è dunque un
falso storico, ma nacque per fini non più attuali.
Tale
effimera distinzione degli interessi in base alla funzione non
giustifica affatto la pretesa di far sfuggire gli interessi moratori
alla applicazione della legge 108/96.
Quindi
Il primo motivo di ricorso è stato accolto dalla Suprema Corte e la
sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d‘Appello
di Milano, la quale nel riesaminare il tutto applicherà il seguente
principio
di diritto:
“E’
nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali
moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di
cui all’art. 2 della legge 108/96, relativo al tipo di operazione
cui accede il patto di interessi moratori convenzionali”…
Il
riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori
va compiuto confrontando il saggio degli interessi pattuito nel
contratto col tasso soglia riferitoa quel tipo di contratto, senza
alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in
assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che
l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non
al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 l. 108/96, ma in base ad un
fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”,
ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale
il tasso soglia.
Nonostante
l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di
quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo,
cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile,
atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi.
In presenza di interessi moratori usurari, al danneggiato vanno
attribuiti gli interessi legali.
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