No, non era Catilina. Ma noi...?
di Maurizio Blondet.
Chi ha detto che la storia, quando si ripete è in forma di farsa? Da noi, è l’opera dei pupi. Ecco gli ultimi eventi:
Napoleino ha lasciato l’Elba della sua indecisione; ha raggiunto le sue malconce truppe, acclamato dai suoi colonnelli fedelissimi («Metti in lista me, imperatore!»). Cominciano i Cento Giorni. Essenzialmente, per salvare se stesso da leggi e processi. Finirà in una qualche Waterloo. E poi, l’esilio definitivo. Non a Sant’Elena ma a Malindi, dove lo attende a braccia aperte Briatore col suo resort.
E pensare che ha ancora un elettorato, valutato attorno al 10%. Come l’amico Giovanelli, che ci crede ancora:
Lascerei perdere tutte le critiche che Blondet avanza contro Berlusconi,ipotizzando il fatto che egli abbia preferito essere defenestrato con la risibile accusa di indegnità morale, piuttosto che essere assassinato per aver tentato di salvare un popolo che allegramente ed inesorabilmente va alla rovina.
Qui, signori, occorre un breve corso di dottrina politica «for dummies». Vedo che c’è ancora poca coscienza della profondità della devastazione che il Napoleino ha portato al vasto elettorato di centro-destra, che è maggioranza del Paese.
È il fallimento totale di quella che, votandola, credevamo una classe dirigente, capace di assumersi le responsabilità, i compiti collettivi, lo stile di vita di una classe dirigente; e che una volta messa da noi al potere, s’è data al «tempo libero» puttanesco, all’arraffare, alle cene eleganti, alle feste con la testa di maiale, ai Trota e alle Brambilla. E questi, benché gravissimi, sono solo sintomi di una inferiorità intellettuale, culturale prima che morale – che significa, purtroppo, la bancarotta del Nord.
Il Nord non è stato capace di esprimere una classe dirigente.
Non ha saputo approfittare dell’occasione storica irripetibile. Non solo ha mostrato di non essere all’altezza di governare l’Italia, ma di non essere capace di governare se stesso.
È una disfatta che – non ve ne rendete conto? – sta già producendo i suoi effetti tragici: per esempio, con i suicidi in massa di piccoli imprenditori del Nord, perseguitati dal governo golpista, dalle sue tasse spogliatrici, senza alcun partito che li difenda, perché quello che hanno votato non c’è più, non riesce ad esistere senza il Cavaliere. Il quale ha tradito l’elettorato, Giovanelli.
Consegnando il potere a Monti, e sostenendolo fino a quando gli ha fatto comodo. Per non essere assassinato, dici? Ma va là. Per Mediaset, per i processi, per gli affaracci suoi. E se anche fosse, ebbene: chi vi entra, deve sapere che la politica comprende anche il rischio di assassinio. Perché la politica è cosa seria, non una seratina elegante con le olgettine; non è da gioppini e cretini perditempo.
Questa è pari ad una disfatta in guerra, e il territorio conquistato è il Nord: il Nord produttivo ma incapace di produrre dal suo seno dei veri dirigenti. Ora pagherà le spese di guerra, come uno Stato sconfitto e sotto occupazione, per decenni.
Dunque, prima nozione elementare di dottrina politica:
La politica è una cosa seria. Mortalmente seria. Specie in Italia, l’assassinio dei capi che falliscono è ricorrente (Mussolini, Craxi), e l’epurazione dei seguaci fedeli è spietata (massacro dei fascisti sconfitti, triangolo del terrore in Emilia-Romagna...). Bisogna saperlo, e diventare seri.
E che dire dell’intervento di Franco PD? Scrive:
Trovo francamente strano che sia così diffusa una valutazione dei FALSI errori di Berlusconi e si ignorino invece quelli VERI ed enormi, indugiando invece in scempiaggini di mutande al vento.
Ed io trovo un po’ offensivo, da uno che di politica in qualche modo capisce, che mi si attribuisca un intento moralistico, che sarei stato scandalizzato dalle mutande al vento. E mi insegna: «Ci si deve distinguere per onestà intellettuale, e il privato e il politico sono aspetti diversi».
Quante volte devo ripetere, fino a diventare rauco, che non ce l’ho con Berlusconi per quel che fa in privato a letto, ma appunto per aver portato quel suo privato nel politico? Non me ne frega che scopi delle donne a pagamento; ma comincia a fregarmene, come cittadino e contribuente, quando mette queste sue donne a pagamento in Parlamento, alla Regione, e nei ministeri. Le puttane se le paghi lui, che è ricco, non le metta a carico dei cittadini e dei contribuenti. Franco PD pensa sia un fatterello veniale; dopotutto, dice, la Carfagna sa leggere pulitina pulitina un testo che le è stato fornito... Prego? Mi pregio ricordare che la Carfagna è subito andata a letto con Bocchino (è tipico del mestiere, cercarsi un protettore) mentre già andava a letto con Mezza Roma (è il cognome del marito), minacciando di passare con il Fini. E la Brambilla? Ha voluto il Turismo, e si occupa di cani e gatti.
E questa sarebbe una «imprenditrice del Nord»? Capite o no perché mi incavolo? Quando si mettono al governo le ragazze che ti hanno fatto dei lavoretti, vuol dire che non vuoi fare niente di serio in politica. E dunque, che stai tradendo il mandato dei tuoi elettori. E non è tutto, c’è di peggio.
Dico: sei Berlusconi, sai che i giudici milanesi ti controllano stretto e vogliono distruggerti, e tu cosa fai? Dai a Ruby, una evidente puttanella professionale, il tuo numero di telefono cellulare!
Appena fermata per il furto di un computer ad una collega, la Ruby – sotto gli occhi esterrefatti dei funzionari della Questura di Milano – chiama il presidente per farsi salvare. E il presidente che fa?
Invece di cadere dalle nuvole e giurare «io quella non la conosco, non so come abbia avuto il mio telefonino», dice ai funzionari: rilasciatela, è la nipote di Mubarak. Una bugia da bambino di 5 anni. E dopo, fa peggio. Manda in Questura la tenutaria del suo casino, una che ha scritto in faccia il mestiere che fa, e che lui ha elevato a consigliera della Regione Lombardia, a prendere in consegna Ruby...
Non è l’immoralità che mi scandalizza, è la cretineria.
Lo chiedo a qualunque maschietto. Chi di voi, dopo essere andato con una puttana, le dà il numero di telefono privato e personale? Chi di voi è stato mai così imbecille da mettersi nelle mani di una troietta ed esporsi ad ovvii ricatti del tutto evitabili? E specie se siete una «persona importante», che dovete salvaguardare la vostra dignità personale ed aver riguardo di quelli che vi hanno eletto a guidarli, vi comportereste così? Ma già se siete una persona maritata, non dareste il cellulare a Ruby, per mantenere all’oscuro vostra moglie, per rispetto di voi e di lei. Se no, siete scemi. Scemi da ricovero, da interdizione dai pubblici uffici.
Da qui il secondo pilastro di dottrina politica:
In politica, la scemenza è peggio di un crimine. Anzi, è il solo vero crimine.
Come qualcuno di voi saprà, è un detto di Talleyrand. Non saperlo, non tenerlo presente quando si entra in politica, dice il livello bassissimo, sul piano intellettuale e culturale prima che morale, del «grande imprenditore lombardo». Personalmente, del resto, non ho aspettato la fase delle olgettine e del burlesque. Mi son sentito tradito definitivamente, quando Berlusconi ha impedito la vendita di Alitalia all’Air France: invece di liberare lo Stato di quel catorcio in perdita, s’è messo a farneticare di patriottismo, ha speso 450 milioni di noi contribuenti per dotare la «cordata italiana» che ha preso Alitalia senza sborsare un euro, con i risultati che tutti oggi vedono: Alitalia è più catorcio che mai, la cordata (compari suoi) si sono arricchiti ma non l’hanno risanata. Questo ha rivelato, almeno a me, che Berlusconi non aveva più un progetto complessivo per il Paese; che era solo improvvisazione, approssimazione, superficialità – e scemenza. Da allora ho cominciato a scrivere che Berlusconi ha un problema psichiatrico. È la sola scusa che può invocare: seminfermità mentale.
Più articolata e profonda, e non poteva essere altrimenti, la critica di Copertino:
Caro Maurizio,
... Berlusconi non ha fallito perché – da ultimo – si è lasciato andare alla sua lussuria. Berlusconi è il rappresentante del vero e maggior responsabile della catastrofe antropologica da te ben descritta. Quel responsabile si chiama liberismo, ‘libero mercato’. In nome del mercato tutto si mercifica,tutto si reifica, anche Dio e la Patria. La nostra epoca è ammalata proprio perché ha dato la centralità alla terza funzione, quella economica, a discapito delle altre due, il sacro ed il politico. È il mercato, diventato centrale, che ha prodotto il Grande Fratello, le olgettine, i Flashmob, il calcio fanatico, etc. Ed ha anche mercificato le funzioni pubbliche tradizionali… No, caro Maurizio, Berlusconi non era, non è mai stato,Catilina.
Con tutta la simpatia per la tua tesi, caro Luigi, non sono d’accordo. C’è forse troppo liberismo in Italia? Lo Stato che incamera e spende oltre il 50% della ricchezza prodotta dal Paese privato, dice che il nostro è l’ultimo Paese rimasto semi-socialista. Stato, Regioni, Provincie, ottomila Comuni divorano tutto. Berlusconi ha forse introdotto troppo «mercato»? Macché: ha mantenuto i monopòli statali, TV, Alitalia, eccetera. Sulle spese folli delle Regioni, non ha mosso un dito. Un governo «troppo liberista» non concederebbe le concessioni delle spiagge per 90 anni a concessionari già insediati, come ha tentato di fare Tremonti; metterebbe all’asta le concessioni a chi paga di più (2). Questo è statalismo, Luigi: statalismo coglione e losco, il che è peggio.
Il compito politico, in Italia, è nello stesso tempo contrastare il liberismo selvaggio finanziario estero, e lo statalismo degli amici e dei parassiti all’interno. Per questo è difficile, come ogni battaglia su due fronti.
Però ha completamente ragione nell’ultima frase:
… No, caro Maurizio, Berlusconi non era, non è mai stato, Catilina.
La frase richiede una spiegazione per i lettori più giovani. Nel 1994 scrissi un piccolo saggio il cui titolo mi è praticamente costato la carriera nel giornalismo: «Elogio di Catilina e Berlusconi» (1). Poiché appena sceso in campo Berlusconi era stato mitragliato da 450 processi intentatigli dalla magistratura, dicevo che anche Catilina, a suo tempo (108 – 62 avanti Cristo) era stato demolito da falsi processi e false accuse sostenute da Cicerone, che era insieme capo del governo (console) e si prestò a fare da accusatore pubblico (piccolo conflitto d’interessi) contro Catilina, in cui i senatori vedevano un pericolo per i loro privilegi e lo status quo. Infatti Catilina, senatore di nobile stirpe lui stesso, aveva affermato che la repubblica romana soffriva di una grave crisi: la sua «legalità» era entrata in contrasto con la legittimità. Basti dire questo: tutti gli italici avevano ormai la cittadinanza, ma non potevano esercitare i diritti politici, perché per votare bisognava andare fisicamente a Roma: insomma erano state mantenute istituzioni da città-Stato, mentre ormai Roma era una nazione-Stato. Catilina si candidò al consolato, e riuscì a far venire a Roma molti suoi elettori da Fiesole; il Senato che fece? Rimandò entrambe le volte la data delle elezioni, sicché i fiesolani, che a Roma stavano sulle loro spese, dovettero presto tornarsene a casa. Sporchi trucchi. La classe sanatoria, latifondista e parassitaria, voleva mantenere le istituzioni così: siccome si votava solo a Roma, bastava qualche centinaio di romani, abitanti nella capitale, a decidere l’esito delle elezioni. Era facile corrompere quel qualche centinaio pagandolo; e si intimidivano gli altri elettori con bande di picchiatori e teppisti, visto che si doveva votare in piazza e pubblicamente. Catilina proponeva una riforma istituzionale coraggiosa e radicale, popolare; il Senato (per mezzo di Cicerone) lo accusò di colpo di Stato e lo soppresse dopo averlo costretto alla guerra civile.
Dicevo: ecco, lo stesso blocco sociale che non vuole cambiare nulla – dai giudici al PCI con i suoi media, al Quirinale, allora occupato da Scalfaro – si è avventato contro Berlusconi, perché ha paura che, sostenuto dal suo vasto elettorato, faccia riforme radicali di cui il Pese ha bisogno...
No, decisamente non era Catilina.
Ma forse che non sapevo chi era? Non vedevo forse che le sue TV erano cretine, trasformavano questo Paese in una enorme Cretinopoli, e manifestavano in lui una fondamentale bassezza?
Certo che lo sapevo. Ma a parte che gli individui egregi da noi sono molto scarsi dunque c’è poco da scegliere, ecco un altro fondamento da tener presente:
entro certi limiti, le qualità e doti personali – intelligenza, forza di carattere, visione ed audacia – della persona che scende in politica, contano meno di quelle che la massa pone in lei. Detto altrimenti:
Nell’azione pubblica, un uomo non è mai efficace per le sue qualità individuali, ma per l’energia sociale che le masse gli prestano,credendo in lui.
Berlusconi era riuscito in un miracolo che non era mai riuscito a nessun altro, in Italia: radunare attorno a sé una maggioranza stupefacente, e che travalicava gli steccati abitudinari del tran-tran politicista italiano. Sì, la parte preponderante di questa maggioranza era fatta forse di tifosi del Milan e di spettatori del gran varietà Mediaset. Ma va ricordato che gli operai del Nord gli hanno dato fiducia, abbandonando l’area di sinistra; e che aderirono a Forza Italia, allora, Lucio Colletti già intellettuale organico del PCI, Luciana Maiolo del Manifesto, Piero Melograni, già storico leninista, l’editore ex-trotzkista Giulio Savelli, il Giuliano Ferrara (comunista) non ancora neocon... Qualunque cosa si pensi di costoro, erano gente di qualità intellettuale molto superiore a Berlusconi, che evidentemente avevano risposto ad una grande speranza di cambiamento che lui sembrava incarnare; tanto da fare il salto «a destra», che nel loro ambiente non portava vantaggi e non è stato mai perdonato.
Voglio sottolineare che la rottura degli steccati, l’adunarsi di tante forze vitali ed energie sociali attorno ad un leader e al suo progetto politico, è un miracolo che non era mai avvenuto in Italia, né si ripeterà. Il motivo sta nella tragica patologia fondamentale della società italiana: l’insubordinazione permanente della moltitudine verso chi si propone di dirigerla. Un sospetto preventivo, sordido, invidioso contro qualunque personalità emergente abbia l’apparenza di volerla comandare, le toglie in via previa ogni energia sociale, e dunque ogni possibilità di concretizzare un programma. Questa patologia non si limita affatto al campo politico, ma ammala più profondamente la società: e spiega la desertificazione di individui superiori nell’arte, architettura, scienza, intellettualità, cultura, università; la mediocrità invincibile del livello culturale generale. Non che non nascano tra noi persone eccellenti: 250 mila giovani l’anno, almeno. Ma sono precisamente quei giovani che ogni anno se ne devono andare, accolti a braccia aperte all’estero, perché la società attuale non ha bisogno delle loro qualificazioni «troppo alte», non li vuole, ha fastidio di loro per l’istanza di migliorarsi, di imparare da chi sa di più, che essi pongono – come un tacito rimprovero – alla moltitudine.
Lasciarsi comandare da questi giovincelli? Non sia mai! Lo si è visto nel duello Renzi-Bersani. La società, cosciente o no, blocca positivamente l’ascesa di questi migliori ad ogni posizione di comando. Attenzione: non è rifiuto di obbedienza, è indocilità. Non sfugga la differenza: si obbedisce a un comando, si è docili a un esempio. Una società dove la gente è docile a personalità che sente esemplari, ossia impara da esse, tende a convivere coi migliori e, contemporaneamente, a vivere elevandosi, quanto può, al livello del modello. Ma la massa italiana, e segnatamente la sua semi-borghesia arricchita, non ammette nemmeno la possibilità che esistano modi di pensare superiori al suo, e che vi siano concittadini di rango intellettuale e morale superiore alla sua stolida esistenza.
Il risultato è che, rifiutato il comando dei migliori ed espulsi gli esemplari all’estero, una tale società si fa governare da furbi e loschi arrampicatori, Fiorito, Lombardo, Polverini, da «scienziati» come Veronesi, «scrittori» coma Saviano, «architetti» come Fuksas; e da «animali politici» semi-analfabeti come Bossi (3). O da Berlusconi.
Ma da Berlusconi si poteva sperare meglio. La forsennata, delirante, patologica ostilità sordida, preventiva e invidiosa che le sinistre, le corporazioni di parassiti (le Caste), il Quirinale gli tributavano, era già un indizio a suo favore: questi «sentono» che c’è un uomo capace di comando, che sa cosa fare, che cambierà lo status quo. La patologia italiota era tutta concentrata da quella parte. Il Quirinale fece trucchi sporchi per togliergli il potere che gli aveva dato l’elettorato, la Lega tradì; i magistrati e i giornali intelligenti ci elencavano tutte le sue loscaggini, i suoi conflitti d’interesse. L’elettorato così ben informato, conosceva il suo pelo sullo stomaco, e lo ha votato.
Il pelo sullo stomaco, i pochi scrupoli, non sono di per sé un fatto negativo in politica. Un giorno, se avrò tempo, vi racconterò le storie di Montesquieu: sbattuto più volte in galera per debiti o altri delitti, e più volte su denuncia di suo padre; grande seduttore di mogli altrui; bisognoso di attività irrefrenabile, mentitore, mani bucate, sensualità gigantesca, sentimenti grossolani, senza finezza perfino nel vestire (benché fosse un conte). Eppure, eletto all’Assemblea all’inizio della Rivoluzione Francese, questo mascalzone la domina con la sua oratoria, la soggioga con la sua presenza leonina alla tribuna, la seduce e convince ad un disegno che lui solo aveva con chiarezza: la monarchia costituzionale. Mirabeau, da solo, inventa le forme della vita pubblica nuova: il pluralismo parlamentare. Inventa le procedure, il linguaggio, lo stile della politica europea. Un genio. Tutt’altro che uomo ideale, è un archetipo del politico moderno (4). Farabutto, ma finché lui fu vivo (morì prematuramente), sbarrò il passo agli ideologi sciacalli alla Robespierre, ai giacobini e al Terrore: «Non ho mai adottato la loro metafisica, né i loro crimini inutili», disse.
Non sfuggirà una certa somiglianza caratteriale con Berlusconi. Tutto gli avrebbe perdonato il suo elettorato, tutte le sue olgettine e tutti gli affaracci a favore di Mediaset, se solo avesse attuato anche il programma! Io l’ho sentito da lui, chiaro e limpido il programma, nei discorsi che fece nella prima fase: qualcuno glieli scriveva d’accordo, ma almeno lui li leggeva. Oggi probabilmente se li scrive lui, e si vede: una ristrettezza mentale, una monomania, una mancanza di visione, che fa impressione. Aveva gli operai del Nord, aveva gli intellettuali di sinistra e di destra, aveva il Nord e la Sicilia; aveva la legittimità. Poteva fare letteralmente tutto. Chiunque al suo posto sarebbe stato capace di cogliere il momento, approfittare di tanta sorte; sentire il compito, la responsabilità che tanto favore della gente gli metteva nelle mani.
Mediocre? Ma una tale energia sociale attorno a lui era lì per alzarlo di livello, per migliorarlo, per insegnargli le cose che lui non sapeva ancora. Poteva circondarsi dei migliori di lui, come fa chi ha un grande progetto da realizzare, metterli a capo dei suoi media: che so, Marcello Veneziani, Cardini, financo la Maiolo. Ha finito per preferire Emilio Fede, i Briatore, i Dell’Utri, i Ghedini... e alla fine passare le serate con Lele Mora. Lui stesso s’è rivelato l’apice della patologia sociale italiana: la resistenza anormale a farsi influenzare dagli esempi superiori. Come il borghesotto italiano che non ammette la possibilità che esistano intelligenti più di lui, modi di essere e pensare superiori – e proprio per questo, come ha notato De Rita, ha mancato al suo compito di farsi classe dirigente, pensando per ignoranza invincibile ne bastassero i segni esteriori, le BMW, gli Armani e i Rolex.
Berlusconi ha annullato una gigantesca volontà di futuro che s’era manifestata a coagulata miracolosamente attorno a lui. Non ci sarà più. Adesso, 40 anni di «usato sicuro».
1) Su Catilina, per brevità riporto quello che dice Wikipedia (la voce dev’essere stata compilata da un competente): «Nell’orazione Pro Murena del 63 avanti Cristo Cicerone contesterà a Catilina un’affermazione che ne rivela il progetto politico: ‘La Repubblica ha due corpi: uno fragile, con una testa malferma; l’altro vigoroso, ma senza testa affatto; non gli mancherà, finché vivo’. Nell’analisi politica di Catilina la Repubblica romana vive una separazione gravissima della società dalle istituzioni. Il corpo fragile rappresenta il corpo elettorale romano, spaccato in cricche, clientele e bande (nell’88 avanti Cristo tutti gli italici avevano avuto la cittadinanza romana, ma per votare occorrevano tempo e risorse per recarsi a Roma, da qui la degenerazione clientelare); la testa malferma rappresentava invece il Senato, abituato al potere ereditario, colluso con i grandi proprietari terrieri, l’ottusa classe del patriziato. Il corpo vigoroso ma senza testa simboleggiava la massa di contribuenti, tartassati e umiliati dal disordine politico, senza vera rappresentanza politica, per la quale Catilina si propone come ‘testa’ pensante, al tempo stesso rendendosi conto della pericolosità dell’andare contro l’oligarchia dominante».
2) A dire il vero anche il nuovo governo Monti, presunto tecnocratico e liberista, ha fatto lo stesso, solo riducendo la concessione sulle spiagge a 30 anni, ma lasciandole senza concorso a quelli che già le avevano: una rendita a favoriti, mica il «mercato». Come cittadino, mi dico: possibile che la lobby dei tenutari di sdraio e ombrelloni sia così potente presso i politici? Li paga? Oppure sono i politici così deboli, mentalmente e di carattere, da non resistere ad alcuna lobby?
3) Alla Lega aderì addirittura Gianfranco Miglio, il massimo politologo italiano, come si sa. Più una serqua di intellettuali e giornalisti intelligenti, di cui mi viene a mente l’architetto Gilberto Oneto (altri sono defunti, i più allontanati). Ma Bossi rigettò Miglio, che non faceva altro che mettersi al suo servizio, come ogni mediocre aveva paura che «gli facesse le scarpe». E come analista politico, s’è sempre fidato di più del suo autista. Per forza doveva finire nel tentativo di elevare il Trota ad erede della Lega.
4) Un uomo «ideale», un politico «ideale», è come il moralismo corrente crede che «deve essere». Un archetipo, è la cosa nella sua ineluttabile realtà. Mirabeau fu l’archetipo del politico. Il suo progetto intendeva rispondere alla domanda: come organizzare lo Stato in modo che le energie vitali della nazione non vengano impastoiate, ma liberate per la prosperità e la grandezza della Francia nel mondo? Ovviamente, «non riteneva di avere il diritto di ritardare la sua azione pubblica per darsi il piacere di preservare la sua onestà privata». Se c’era da corrompere, corrompeva; e avendo continuamente bisogno di denaro, non si poneva grandi scrupoli su chi glielo dava. Inutile dire che un Mirabeau non potrebbe farsi eleggere dai grillini, in quanto là conta la fedina penale pulita... Le loro piccole menti pulite cercano l’esangue, immaginario politico come «deve essere», non il potente archetipo del politico com’è.
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